The Crown 3, nella serie Netflix la Corona brilla ancora, solo un po’ meno (recensione)

The Crown 3, la nuova stagione della pluripremiata serie inglese di Peter Morgan sul regno di Elisabetta II, ha l’arduo compito di non far rimpiangere le precedenti


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Non è facile ripetersi dopo due stagioni semplicemente impeccabili e unanimemente apprezzate dalla critica quanto dal pubblico: The Crown 3 ha il difficile compito di non far rimpiangere le due precedenti, che ne hanno fatto una delle migliori produzioni originali Netflix per qualità tecnica e drammaturgica.

The Crown 3, disponibile sulla piattaforma streaming dallo scorso 17 novembre e visibile anche ai non abbonati fino al 15 dicembre, è una sfida ardita per il creatore Peter Morgan, che fa proseguire il suo racconto di amplissimo respiro – l’intero regno di Elisabetta II della sua proclamazione a sovrana fino ai giorni nostri – affrontando i complessi anni ’60 e ’70 della storia inglese, in uno scenario internazionale contrassegnato dalla Guerra Fredda e una situazione interna di grave crisi economico-finanziaria, in cui il governo laburista dà voce a sentimenti antimonarchici ma finisce per soccombere sotto il peso dei fallimenti della sua politica economica. Una monarchia che deve dimostrare di saper resistere allo spirito del tempo, quella raccontata in The Crown 3, che deve riconquistare il favore dell’opinione pubblica e non sempre sembra in grado di farlo, incartandosi in tentativi quasi patetici come l’ingresso delle telecamere a Buckingham Palace. E che deve continuare ad essere credibile baluardo della democrazia costituzionale inglese in un momento storico in cui l’imperialismo è ormai avviato verso il declino. Non a caso il claim della stagione è “I tempi cambiano, il dovere resta”.

È in questo quadro storico che Peter Morgan ambientata la terza stagione di The Crown, con un cast completamente rinnovato rispetto alle prime due: un’operazione sicuramente azzardata quella di cambiare tutti i volti principali di una serie che il pubblico ha dimostrato di apprezzare e che ha fatto incetta di premi internazionali, ma fatta nella consapevolezza di voler dare la massima credibilità all’evoluzione di un racconto che copre diversi decenni del secolo scorso.

Così per ​il premio Oscar ​Olivia Colman​ subentra alla vincitrice dell’Emmy Claire Foy nei panni della Regina ormai di mezza età, Tobias Menzies si cala nei panni del Principe Filippo,​ ​Helena Bonham Carter è l’eccentrica e ribelle sorella minore della regina, la Principessa Margaret, mentre Ben Daniels interpreta il suo anticonformista marito, Antony Armstrong-Jones. E sono ormai adulti i figli della coppia reale, la Principessa Anna (Erin Doherty) e il Principe Carlo (Josh O’Connor), l’erede al trono che in questa stagione incontra per la prima volta la donna che sarebbe rimasta l’amore della sua vita nonostante il futuro matrimonio con Diana, quella Camilla Shand all’epoca non ancora Parker Bowles (Emerald Fennell). A Jason Watkins va il ruolo del Primo Ministro socialista Harold Wilson, la vera sorpresa di questa stagione, personaggio straordinariamente interessante soprattutto per il suo rapporto schietto, non semplice ma di grande lealtà con la Regina, mentre Charles Dance è un elegante quanto ambiguo Lord Mountbatten.

La nuova stagione di ​The Crown ​ce la mette tutta per restare all’altezza del suo stesso standard, anche se qualche differenza si nota sin dai primi episodi: se la Colman è un’ottima regina di mezza età, ormai più spigliata e decisa rispetto ai primi anni di regno ma anche meno emotiva (e per questo il risultato finale è molto più freddo e meno coinvolgente rispetto all’interpretazione della Foy), Menzies è un Filippo troppo statico e polveroso per un ribelle al protocollo quale è sempre stato il principe consorte, mentre la Bonham Carter eredita il ruolo che è stato splendidamente interpretato da Vanessa Kirby non somigliandole molto né fisicamente né per attitudine, cavandosela però egregiamente col suo talento e la sua presenza scenica. Piacevolmente sorprendenti gli interpreti dei figli maggiori della Regina, da un lato la dolce e razionale Anna, la voce della ragione in una famiglia che per sua stessa natura non ha certo i piedi per terra, e dall’altro l’emotivo Carlo, schiacciato in un ruolo che non sente suo, oppresso da un protocollo che rappresenta la sua infelicità in quanto limita le sue scelte di vita, il suo amore per l’arte, le sue passioni e i suoi sentimenti, non ammettendo strappi alla regola. Un’incoronazione, la sua, che ha più il sapore di una resa senza condizioni.

Tra gli aspetti meno entusiasmanti di questa stagione c’è la tendenza della sceneggiatura a lasciare davvero poco all’’immaginazione e questo è l’elemento che più stride rispetto alle prime due stagioni, dove le emozioni dei protagonisti erano trasmesse perlopiù con sguardi, silenzi, poche parole e molti sottintesi. Ora le trame sono più esplicite, i dialoghi più serrati, il ritmo della narrazione più veloce, con meno spazio ai non detti, alle atmosfere, a quel velo di mistero che circondava i grandi affari di stato nelle prime due stagioni e che contribuiva a creare il fascino di questa serie.

La serie continua a brillare nella sua maestosità con episodi perfetti dal punto di vista drammaturgico come il terzo, dedicato alla strage nel villaggio di minatori di Aberfan in Galles cui Elisabetta mostrò partecipazione solo presentandosi in ritardo sul luogo della tragedia e con una commozione indotta dai fotografi (che ancora oggi si dice sia il più grande rimpianto della Regina). E spicca tra gli altri anche il sesto, che scava nel disagio interiore dell’erede al trono inglese, innescando un’empatia nello spettatore che il vero Carlo d’Inghilterra non ha mai saputo suscitare nella vita reale.

Nonostante il confronto con le prime due stagioni faccia decisamente pendere la bilancia a favore di queste ultime, The Crown 3 ​resta comunque un ambizioso e sontuoso affresco storico capace di raccontare qualcosa di ormai anacronistico come la monarchia e l’idea stessa di nobiltà attraverso la personalità, l’emotività e la fragilità umana dei suoi rappresentanti. Una serie che umanizza la storia e l’istituzione, con una regia degna dei grandi film in costume e una spettacolare fotografia che restituiscono allo spettatore la sensazione di camminare davvero tra i palazzi reali con i suoi illustri abitanti. Un’esperienza che poche produzioni possono regalare agli spettatori.