Cesare Cremonini, 2C2C: un album di musica non liquida, ma solida, tattile o semplicemente, pragmaticamente, bella

L'artista bolognese è uno dei pochi, credo il solo della sua generazione, destinato a rimanere nel tempo

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Per quelli che seguono il calcio, come me, c’è un momento preciso in cui si capisce di stare invecchiando. Non è quando cominciano a arrivare i primi capelli bianchi, c’è gente a cui succede da giovanissima, uno della mia età direbbe “alla Bettega”, e altri a cui non succede neanche da vecchi. Non è neanche quando, a un certo punto, senza occhiali non siamo più in grado di leggere neanche un testo di quelli scritti con corpo 16. No, per quelli che seguono il calcio, come me, il momento preciso in cui si capisce di stare invecchiando è quando ci si accorge che i giocatori che scendono in campo nelle partite importanti, non in quelle Scapoli contro Ammogliati della domenica mattina, per intendersi, quelle dei professionisti, sono tutti più giovani di te.

Cioè, tu sei lì a vedere questi giovani adulti, perché i calciatori, tendenzialmente sembrano tutti più vecchi dell’età che hanno, anche quelli ultracurati, fighissimi, sembrano uomini già a venti anni, mentre gli altri ventenni sembrano tutti bimbiminkia, il che fa anche ridere, perché magari i bimbiminkia diventeranno ricercatori del Cern e i calciatori resteranno calciatori, cioè tendenzialmente dei bimbiminkia, va beh, sto tergiversando, cioè, tu sei lì a vedere questi giovani adulti che sgambettano in campo, iperatletici, e a un certo punto realizzi che quei giovani adulti sono più piccoli di te. Così, senza preavviso. Un attimo prima erano più grandi, e poi diventano più piccoli, senza esserti accorto che per un po’ sono stati tuoi coetanei.

Questa faccenda, e traslo dal calcio, fa sì e farà sì che per tutta la vita tu tenderai a fare paragoni nei quali l’anagrafe avrà una rilevanza fondamentale, perché, parlo per la mia generazione, se hai visto giocare Diego Armando Maradona da giovane, anche se poi il calcio è diventato tutta un’altra cosa, imparagonabile atleticamente a quello di un tempo, tu continuerai a dire che lui, El Pibe de Oro, è il più grande calciatore di tutti i tempi. Esattamente come la generazione di mio padre, classe 1936, fa con Pelè, anche se nel caso specifico, lui, mio padre, juventino sfegatato, suppongo che direbbe che Omar Sivori era anche più forte del campione brasiliano.

Non so se c’entra la faccenda di non voler invecchiare, una sorta di attaccamento atavico alla giovinezza che associamo, implicitamente, all’idea di rimanere vivi, ma in genere funziona così.

Poi, ovvio, se uno guarda al calcio moderno, fatto da gente decisamente più piccola di me, che ho cinquant’anni, non è che non possa ammettere che i vari CR7 o Messi siano fuoriclasse puri, anche se io personalmente preferisco a entrambi Ibrahimovic, ma Maradona era un’altra faccenda.

Il che è di per sé strano, perché è evidente che per chi ha visto Maradona diventare un campione quando era ancora un ragazzino l’aver identificato nel campione un campione non comporta nessun particolare talento o intuito, lo abbiamo visto già fortissimo, non è che lo abbiamo scoperto noi, mentre giocava nelle baracche di dove è nato. E per chi segue il calcio, come per chi segue la musica, poter dire che un campione l’ha riconosciuto come tale quando ancora gli altri non sapevano manco chi fosse è sempre oggetto di gran vanto, narcisisti che non siamo altro.

Nel senso, uno dovrebbe essere portato proprio per questa natura a guardare con più passione ai giocatori più giovani, perché è lì che possiamo dimostrare di essere gente che ne capisce. Dire che Maradona, quello del goal contro l’Inghilterra ai Mondiali è il campione di tutti i tempi, beh, grazie al cazzo.

Passo a parlare di musica, di questo in fondo sono pagato per scrivere.

Anche in musica, a un certo punto, succede che arrivino artisti che ammiri, che ti piace ascoltare, che ritieni geniali, che sono imperdonabilmente più giovani di te. Qui la faccenda sarebbe anche più complicata, perché mentre col calcio uno è in qualche modo costretto a seguire anche i più giovani, perché se guardi le partite in tv o allo stadio sono quelli più giovani a scendere in campo, senza lasciarti scelta, nella musica uno potrebbe, spesso a ragione, ostinarsi a ascoltare artisti della propria giovinezza, anche gente che è morta da tempo. Certo, non potrebbe vederli dal vivo, ma si sta tanto comodi sul divano, perché mai star lì a pignoleggiare, la musica incisa permette il miracolo di rimanere ancorati al proprio passato.

Sia come sia succede che arrivino artisti più giovani di te. Nel mio caso è successo mentre, per dirla alla Lennon, ero impegnato a fare altro. Di colpo erano lì, e io neanche me ne sono accorto. L’ho capito quando ho cominciato a scrivere di musica, per lavoro, perché spesso mi ritrovavo a parlare con gente che era più piccola di me. Anche parecchio più piccola di me. Vergognatevi, almeno, caspita!

Ora, potrei star qui a aprire una parentesi intrisa di gratitudine rispetto ai due nuovi fenomeni musicali che hanno invaso militarmente il mainstream negli ultimi anni, la trap e l’indie, perché grazie a questa marea di giovani artisti non ho affatto rimpianto il fatto di essere invecchiato. Li considero in buona parte artisti deplorevoli, prescindibili, inutili, quindi il fatto che siano più giovani di me mi lascia assolutamente indifferente. Anzi, mi spinge a rivendicare un orgoglio novecentesco nel dire che eravamo meglio noi, numeri e talenti alla mano.

Ci sono però dovute eccezioni, esattamente come succede nel calcio. Per dire, nessuno nato nella mia generazione, quella dei Maradona, per dire, ma anche dei Platini, dei Van Basten, dei Baggio, non può essersi commosso nel vedere Ibrahimovic picchiare la palla con violenza e eleganza al tempo stesso. Non può non essersi perso nelle discese sulla fascia di Garreth Bale. Non può, so di dire un assurdo, aver trovato poetico anche una piccola macchina senza cuore come Messi, o Cristiano Ronaldo. Eccezioni, quindi, in un calcio moderno privo di anima, e fatto solo di stupidi muscoli. Eccezioni, come nella musica, e è di una di queste eccezioni di cui, a vostra insaputa, vi sto parlando già da qualche minuto. Un fuoriclasse assoluto, capitato per sbaglio nell’epoca sbagliata.

A un certo punto, infatti, mentre noi eravamo ancora lì a pensare a altro, ecco che è spuntato dal nulla, perché noi più vecchi di lui mica avevamo cagato i Lunapop, diciamolo apertamente, Cesare Cremonini. Così, un giorno c’erano questi cinque scappati di casa che parlavano di vespe truccate, e il giorno dopo avevamo un artista con chiari riferimenti alti, da Brian Wilson ai Queen, passando per gli immancabili Beatles e Lucio Dalla, uno capace di scrivere canzoni destinate a rimanere nel tempo, che se ne fregano dell’oggi, perché mirano all’eterno, e che proprio per questi riescono a raccontarci l’oggi meglio di molte altre.

Non è vero. Dico cazzate. Non è andata così.

Cesare Cremonini non è apparso così, dal nulla. È apparso gradualmente, dopo essersi fatto subito notare con quella tripletta lì, 50 Special, Qualcosa Di Grande, Un Giorno Migliore, salvo poi mandare tutto un po’ a puttane e ricominciare provando a cercare una strada sua che fosse sua e sua soltanto. Cosa che in effetti ha anche trovato, magari inizialmente un po’ a fatica, ma subito identificando magari il sentiero da intraprendere, irto, scosceso, ma quello. Solo che io nel frattempo stavo, ancora una volta, facendo altro. Non era quel sentiero che stavo guardando, perché sono nato nel 1969 e lui no, è troppo giovane.

Poi, di colpo, me lo sono ritrovato lì. Non ricordo più con che veste.

Maggese?

Probabile.

Le Sei E Ventisei?

Di sicuro.

Era già lì che faceva numeri da funambolo in mezzo al campo.

Mi succede anche nel calcio, del resto. O meglio, mi potrebbe succedere, se solo io considerassi quelli che scalciano oggi in mezzo al campo anche vagamente degni di essere paragonati ai campioni del passato, e sia chiaro che considero Cesare Cremonini esattamente così, uno degno di essere paragonato ai grandi del passato della musica. Guardo una partita e non ho idea di chi siano quelli che corrono in campo, anche quelli bravi, bravissimi. Non li riconosco, guardandoli, e non li riconosco neanche quando il telecronista li chiama per nome. Sono distratto, appunto. Lautaro Martinez? Joao Pedro? Muriel? Zapata? Andate a fanculo, correte.

Ma per quanto io possa essere distratto è evidente che Cesare Cremonini è uno dei pochi, credo il solo della sua generazione, destinato a rimanere nel tempo (sì, lo so che anche Tiziano Ferro è della sua generazione, ma credo che Tiziano Ferro si sia fermato ormai troppi anni fa per poter entrare nell’Empireo, questo penso e questo scrivo). A tal proposito, come fosse un vecchio filmato di repertorio, una di quelle azioni storiche che i patiti di calcio si vanno a vedere e rivedere su Youtube, è appena uscito un documento discografico che, ce ne fosse bisogno, dimostra come Cesare Cremonini sia in effetti un gigante. Ho avuto il piacere di ascoltarlo un paio di mesi fa al Mille Galassie Studio di Casalecchio sul Reno, la sua Fortezza della Solitudine, e anche per questo privilegio ho deciso di scriverne buon ultimo, tanto per non unirmi al coro uniforme di chi lo incensa salvo poi incensare anche il primo stocazzetto che passa di qui.

Si intitola 2C2C, che detto tra me e voi è un po’ un titolo del cazzo, ma va bene così, eh. Un sestuplo album antologico atto a festeggiare venti anni di carriera. Sì, avete letto bene, un sestuplo, cioè sei cd, se lo considerate come qualcosa di fisico, che vogliono, riuscendoci, presentare non tanto una carrellata bensì una fotografia esaustiva, completa, di quel che Cesare Cremonini è stato in questi venti anni, e anche di quello che è al momento e sta continuando a essere.

A questo scopo si parte con gli inediti, un vero e proprio album posto in esergo dell’opera, ventisette minuti di inediti, cinque canzoni e uno strumentale dal sintomatico titolo How Dare You?, di gretiana memoria. Cinque canzoni, queste inedite, che spaziano tra il Battisti di Abbracciala Abbracciali Abbracciati e il discorso lasciato lì con Poetica, penso al singolo di lancio Al Telefono, cinque minuti e quarantadue secondi di sperimentazione e poesia, per andare poi a parare nei Beatles più caciaroni e giocosi, penso al brano più easy del gruppo, Amici, con in mezzo due brani solidi e compatti come Se Un Giorno Ti Svegli Felice e Ciao e un’altra hit dichiarata come Giovane E Stupida, canzone che tira in ballo Elton John nel testo, rivolto alla giovanissima fidanzata di Cremonini, e tira in ballo Elton John nella costruzione del brano, altro punto di riferimento mica da ridere del cantautore bolognese. Insomma, tanta tanta roba, anche stavolta, e solo a guardare gli inediti.

Perché poi c’è poi un doppio cd, ripetiamo, si tratta di sestuplo, che a partire proprio da quella Poetica che lanciava l’ultimo album di studio, Possibili Scenari, per arrivare trentuno canzoni dopo a 50 Special, un viaggio huysmanianamente a ritroso lungo tutti i suoi successi.

Si prosegue con un cd, il 4, in cui trovano spazio quindici versioni per Piano e Voce, idea già usata per Possibili Scenari, di altrettanti brani del suo repertorio. Un modo per spogliarli, certo, ma anche per evidenziare la sua capacità sia di scriverli, quei brani, che di portarli a casa bene anche giocando di minimalismo. A questo si aggiungono altri due cd, uno di rarità che sono per davvero rarità, cioè prime versioni, a volte addirittura casalinghe, di quelle che poi sarebbero diventate le hit contenute nei cd 2 e 3. Un modo affascinante per capire come nascono canzoni che col tempo sono diventate nostre. Infine un album intero di strumentali, perché gli strumentali fanno parte da sempre del repertorio del nostro, mica solo da oggi. Insomma, un lavoro monumentale, e un monumento, in genere, si inaugura per celebrare qualcosa, venti anni di carriera, nello specifico.

Ma siccome i monumenti sono statici, immobili, fermi come monumenti, appunto, mentre Cremonini è vivo e vegeto e lotta insieme a noi, la cosa che balza agli occhi, non solo, già sapete, è come in un momento in cui la musica è sempre più streaming, e quindi compressione, e quindi suoni sintetici, digitali, senza dinamica, buoni per finire come colonna sonora di un video di quindici secondi su Tik Tok, lui, il quarantenne Cesare Cremonini, quello che è lì in mezzo al campo a fare numeri da funambolo mentre intorno a lui tutti corrono manco fossero dentro una partita di FIFA 2020, lui è lì a giocarsela di fino, toccando la palla con grazia, pensando allo spettacolo, come un George Best che scarta anche il portiere, come un Maradona che ci delizia con punizioni all’incrocio, come un Socrates che non guarda mai a terra mentre corre per il campo palla al piede, appunto, un fuoriclasse, Cremonini, che punta allo spettacolo certo non disdegnando di infilarla all’incrocio, ma mai senza deliziare il pubblico, senza puntare a strappare un applauso meritato, pronto a essere immortalato in una puntata di Buffa Racconta. Un fuoriclasse, ripeto, in un mondo di sportivi dopati.

A quei quindici secondi, coi quali probabilmente non saprebbe e potrebbe e vorrebbe competere, Cremonini contrappone i quasi sei minuti del singolo nuovo. A suoni compressi, piatti, la dinamica e l’armonia di chi sa come muovere un’orchestra, usare tante voci, leggi anche cori, Brian Wilson fermo nella mente, ma non solo lui.

A noi non è dato sapere se e quando lo streaming verrà finalmente scorporato dalle classifiche del fisico, non è importante in questa occasione saperlo, ma quel che possiamo affermare con sicurezza è che oggi come oggi se c’è una musica che non è liquida, ma solida, fisica, tangibile, tattile, è proprio quella di Cesare Cremonini. Di quelle su cui ti puoi appoggiare se ti senti stanco, sulla quale puoi salire se non riesci a vedere l’orizzonte, coperto dalla folla antistante, o che, più semplicemente, puoi utilizzare per costruire una casetta che nessun lupo Ezechiele cattivo possa spazzare via con un soffio dei polmoni, salvifica, quindi, ma anche più semplicemente e pragmaticamente bella.