Tutto bene? No, male male! Altro Sanremo, altro conflitto di interessi

Sanremo, Viva Raiplay di Fiorello e il programma di Mara Venier in prima serata, affidati senza gare alla MN Italia, la stessa dove Marcello Giannotti lavorava prima di arrivare in RAI. Coincidenze? Le mie chiacchiere con Pinuccio di Striscia la Notizia


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Quando ero giovane ho fatto il servizio civile. Erano gli anni Novanta, ancora esisteva la leva obbligatoria, e da convinto antimilitarista ho optato per andare a fare l’obiettore alla Caritas. La scelta della Caritas era arrivata in maniera naturale, per almeno due ragioni che, all’epoca, mi sembravano valide. La prima, mio padre era stato direttore della Caritas di Ancona durante l’emergenza della guerra dei Balcani, quando cioè anche in un posto come Ancona c’è stata per la prima volta la necessità di avere un ente, qualcosa, qualcuno che sopperisse a delle falle del sistema istituzionale. Traduco, qualcosa o qualcuno che aiutasse i tanti poveri disgraziati che arrivavano in una città di provincia di suo non esattamente accogliente. Il ragionamento non fatto, perché si trattava più che altro di una intuizione, era questo: se mio padre era stato per qualche anno a capo della Caritas, una volta che ci fossi capitato io avrei avuto non dico un trattamento coi guanti d’oro, ma per dirla con Elio e le Storie Tese nella loro “Fossi figo”, non mi avrebbero trattato come “l’ultimo degli stronzi”. La seconda, decisamente più spendibile, era che di andare a fare le fotocopie in Pinacoteca, o uno dei tanti compitini del caxxo che l’obiezione di coscienza in enti pubblici solitamente comportava proprio non mi andava. Se dovevo buttare nel cesso un anno della mia vita tanto valeva farlo per qualcosa di utile, tipo aiutare i poveri disgraziati di cui sopra. Ovviamente il mio ragionamento era fallace, perché non teneva conto di alcuni dettagli non da poco. Primo, mio padre, figlio di un repubblicano ateo convinto che non è entrato in chiesa neanche il giorno del matrimonio del figlio, mio padre, appunto, e che pur di non andare a fare la guerra coi fascisti, gli stessi fascisti che gli avevano tolto un lavoro più che dignitoso alle Ferrovie dello Stato per quel suo essersi ostinato a non prendere la tessera del partito, aveva preferito mozzarsi con un colpo di mannaia il pollice, così, zac, davanti al gerarca che era andato a ordinargli di arruolari lì al macello presso il quale aveva trovato lavoro, ecco, mio padre, decisamente meno eroico nelle scelte, anche perché fortunatamente i tempi erano cambiati, aveva e ha un senso morale piuttosto monolitico, di quelli che non ti farebbero avvantaggiare un figlio neanche se te lo chiedesse in ginocchio, figurati se semplicemente lo desse per scontato. Tradotto, convinto di andare a trovarmi in una situazione di agio, sono finito per fare l’obiettore in un dormitorio per senza fissa dimora, che lì alla Caritas era una sorta di prima linea, luogo di violenza e tensioni quotidiane. Secondo, la Caritas non solo prevedeva che tu in effetti svolgessi davvero il tuo compito di obiettore, ma lo pretendeva per tre mesi in più degli altri enti. Quindici mesi invece di dodici, perché pensavano, e magari avevano anche ragione, che prima di cominciare uno dovesse già aver familiarizzato con la struttura presso la quale sarebbe andato a operare, fatto che, suppongo, se dovevi fare le fotocopie in pinacoteca, non era poi così necessaria.

Nei fatti per circa otto mesi ho svolto il servizio civile in un dormitorio per senza tetto. Durante la guerra del Kosovo. Con presenti tra gli utenti, nome orribile con cui si chiamavano i barboni presenti perché chiamarli barboni sembrava brutto, con presenti tra gli utenti serbi e croati, nella stessa stanza, e vi lascio solo immaginare cosa tutto ciò comportasse. Una palestra di codici di strada fornita a un venticinquenne del tutto sprovvisto dell’abc del caso. Durante questo anno ho imparato come fare male fisicamente a qualcuno come mai mi era capitato prima, e, fortunatamente, mai mi è capitato di usare poi, almeno fino a oggi. Poi uno degli utenti che non poteva più essere utente, un tipo pugliese che era stato bandito a vita dalla struttura per aver pestato praticamente tutti gli obiettori che avevano prestato lì servizio fino a quel momento e anche parecchi volontari, di quelli che venivano lì una o due volte al mese, all’ennesima minaccia di aspettarmi fuori per darmele di santa ragione mi ha in effetti aspettato fuori. Con un taglierino. Solo che io era da otto mesi che ogni santo giorno assistevo e prendevo parte a risse più o meno cruente, quasi sempre, ma non sempre sempre, nella parte di quello che le voleva e doveva sedare. Ero un giovane punk coi capelli lunghi fino al culo, un paio di calzoncini del pigiama Arimo indossati praticamente tutti i giorni, neanche fossi un personaggio di una serie a fumetti, e una certa propensione all’anarchia. Ero un giovane punk che, quando si è trovato di fronte un tizio, notoriamente confidente della locale caserma dei carabinieri, che lo aspettava fuori con un taglierino, ha ben visto di affrontarlo con fare spavaldo, come si usa in strada. Risultato, il tizio mi ha tagliato un braccio, io l’ho attaccato al muro e pestato un po’, almeno finché volontari e altri obiettori non sono venuti a fermarmi. Altro risultato, la Caritas mi ha tolto da quel posto e mi ha mandato negli uffici, perché ritenevano che lo stress da me subito fosse troppo, o che, magari, la prossima volta qualcuno si sarebbe potuto fare male davvero.

In quei noiosi giorni di ufficio ho cominciato a scrivere, credo di aver già raccontato più volte questa storia. Il che può essere visto come un bene o come un male, fate voi. In quei giorni sono stato anche mandato a fare servizio presso una parrocchia di Ancona presso la quale si svolgevano degli esercizi spirituali rivolti ai giovani. Il mio compito era quello di animare, ma anche di fare testimonianza, sempre che un giovane punk anarchico coi capelli lunghi fino al culo, i pantaloncini del pigiama Arimo sempre addosso e un taglio sul braccio destro inferto da un barbone con un taglierino mezzo arrugginito fosse una buona testimonianza da dare. A condurre il seminario era colui che all’epoca dirigeva la Caritas, cioè colui che il vescovo aveva chiamato per sostituire mio padre, impossibilitato a portare avanti quel compito in quanto padre di famiglia e soprattutto in quanto ancora al lavoro presso la locale azienda di trasporti. Un giovane sacerdote, credo avesse neanche dieci anni più di me, che in seguito si sarebbe spretato, si sarebbe sposato e che oggi, ahilui, non c’è più. Nonostante non gli serbassi rancore per avermi lasciato a svolgere un servizio evidentemente non adatto a un ragazzo, vuoi per l’assenza di adulti che presenziassero in quella struttura, vuoi perché di violenza, in effetti, ce n’era parecchia, vuoi perché, più semplicemente, non erano certo bastati quei tre mesi in più a farmi capire che la vita di strada non era esattamente quella che avevo letto nei libri di Bukowski, per altro da poco passato a miglior vita, ma qualcosa che poteva lasciarti una cicatrice sul braccio, era chiaro a tutti, me e lui per primi, che non mi stesse particolarmente simpatico. Ho però cambiato, almeno per qualche ora, opinione quando una sera, dopo esserci bevuti tutti una bottiglia di Limoncello fresco, ci ha raccontato un aneddoto che in qualche modo mi è poi molto servito quando si è trattato di iniziare a scrivere racconti. Un aneddoto che sto mettendo a frutto anche adesso, mentre scrivo, non so se si è capito, di Sanremo 2020.

Quando era giovane, ci ha raccontato, una volta coi suoi amici ha deciso di fare un brutto scherzo al prete della sua parrocchia, che, un po’ come lui con me, aveva tenuto un comportamento a loro avviso non idoneo. Succede che una sera il prete in questione ha un incontro con i ragazzi, che in qualche modo gliel’hanno giurata e che hanno reso nota la loro intenzione di fargliela pagare per questo o quel torto. Niente di violento, stiamo sempre parlando di un prete e dei ragazzi della sua parrocchia. Il prete finisce l’incontro e arriva verso la sua macchina. Subito nota che di fianco alle due ruote del lato del guidatore ci sono i bulloni in terra. In pratica qualcuno ha sbullonato le ruote, facendo sì che, se mai avesse preso la macchina e fosse partito, avrebbe perso le gomme strada facendo. Uno scherzo decisamente pesante. Forse anche qualcosa di più che uno scherzo. Il prete si arma di santa pazienza, apre il bagagliaio, tira fuori gli attrezzi e stringe i bulloni delle due ruote del suo lato, poi si sposta dal lato del conducente e fa la stessa cosa con le altre due ruote, ovviamente a loro volta sbullonate. Nel mentre, immagino, comincia a pensare a che tipo di punizione infliggere ai ragazzi, perché la faccenda sembra essere sfuggita loro di mano. Una volta fatto il tutto il prete ripone nel bagagliaio la chiave inglese e sale a bordo. I ragazzi sono usciti e hanno assistito alla scena, spavaldi. Il prete li guarda, a sua volta spavaldo, e se ne va, come a dire, “anche stavolta vi ho fregato”.

Tempo cinque minuti e, mentre il prete sta guidando per una vita periferica, quasi di campagna, che lo porta verso quella che è la sua abitazione, dallo spazio che si trova tra i sedili davanti e quelli di dietro sbuca uno dei ragazzi, il più mingherlino e gli urla negli orecchi, facendogli neanche troppo metaforicamente prendere un colpo. Il prete inchioda, fortunatamente senza conseguenze. Quel ragazzino, lo avrete capito, era il prete a capo della Caritas in quel momento. La morale della storiella che ci aveva raccontato, complice il Limoncello, è semplice: se devi fare uno scherzo, anche uno scherzo crudele a qualcuno, o più semplicemente se devi raccontare una storia, all’epoca nessuno avrebbe parlato di storytelling, non basta pensare a un solo colpo di scena, ne devi almeno pensare due. I bulloni tolti e lasciati lì in bella vista erano un diversivo, il vero scherzo era il ragazzino nascosto sotto quel vecchio plaid lasciato lì da mesi, tra i sedili della vecchia Fiat Uno del prete.

Bene.

Ieri ho chiacchierato con Pinuccio di Striscia la Notizia. Ho chiacchierato con Pinuccio di Striscia la Notizia a Striscia la Notizia. Hanno fatto un servizio sulle nomine e pubbliche relazioni in Rai, e mi hanno chiamato a riguardo. Ho raccontato di come, chiamando in Rai, mi sia stato riferito che a seguire come ufficio stampa esterno Viva RaiPlay, il fortunato programma di Fiorello, è MN Italia, la società di management e comunicazione di un certo prestigio. Ho anche raccontato come a dare l’incarico diretto, questo mi hanno riferito, a Serena Pace, amministratore delegato della MN Italia, sia stato l’attuale Direttore alla Comunicazione della Rai Marcello Giannotti, fino a pochi mesi fa in forze proprio a MN Italia, per di più proprio nella sede romana dove lavora la Pace. Una coincidenza, per dirla con Pinuccio, piuttosto singolare, dal momento che Giannotti ha un incarico legato alla presenza in Rai dell’AD Salini, colui che prima lo ha portato in Viale Mazzini come portavoce personale e poi gli ha affidato la direzione in questione. Ho anche fatto menzione di come, così mi hanno sempre detto una volta che chiedevo semplicemente con chi parlare per poter intervistare Fiorello, sarà sempre MN Italia a seguire anche le tre prime serate che Mara Venier condurrà su Rai 1. Sempre bypassando la più consueta formula del bando. Anche Pinuccio ha stentato a crederci, perché vanno bene le coincidenze, ma fino a un certo punto. Bene, questi erano i bulloni lasciati in terra, ben visibili. I diversivi. Perché in realtà altro aspetto era già lì, nascosto sotto il plaid tra i due sedili. Mi è infatti anche stato detto che a seguire il prossimo Festival di Sanremo, in veste di Ufficio Stampa esterno, sarà sempre MN Italia, sempre nella persona di Serena Pace, coadiuvata da altri due addetti stampa dell’azienda, Marianna Petruzzi e Stefano Di Mario. Anche questo per chiamata diretta, da parte di Marcello Giannotti, loro ex collega.

L’anno scorso mi sono trovato più volte a scrivere pubblicamente all’AD Salini per chiedere spiegazioni riguardo il conflitto di interessi di Claudio Baglioni e del suo manager Ferdinando Salzano, a capo di Friends and Partners, faccenda ripresa con ben più eco e approfondimento da Striscia la Notizia nella persona di Pinuccio, appunto. Sapete bene cosa ne è seguito. Quest’anno la vedo un po’ più complicata, perché dovrei chiedere a Salini qualcosa che riguarda direttamente Salini, cioè perché permetta a colui che ha messo a capo della comunicazione di instaurare un rapporto fitto di collaborazione con l’azienda per la quale ha lavorato a lungo e presso la quale, si suppone, tornerà a lavorare una volta finita tutta questa faccenda. E non bastasse questo conflitto di interessi, stavolta interno alla Rai, badate bene, c’è anche la faccenda altrettanto nota, almeno a livello di rumors, dell’ingaggio di Diletta Leotta come co-conduttrice per una delle serate del Festival. A seguire come management la Leotta, infatti, è sempre MN Italia.

Coincidenze?

Coincidenze.

Immagino che anche glielo chiedessi Salini non mi risponderebbe. Spero Pinuccio e Striscia la Notizia abbiano più modo di farsi ascoltare di me. Mentre me ne torno nascosto sotto il plaid, però, torno a parlare per un attimo di musica. O almeno a citare una canzone. Perdonami di Salmo.

Tutto bene?

No, male male.

Tutto bene?

No, male male.

Male male, male male, hey.