Zucchero e soci non dovrebbero perdonare Spotify, proprio come il pugile El Chino Maidana non perdona i suoi avversari

Per la FIMI, a quanto pare, lo streaming conta più della sostanza, i big della musica senza nessuna tutela contro la sfida di giovani artisti sbruffoni


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A volte le storie vanno esattamente come dovrebbero andare. Intendo, come dovrebbero andare se il mondo fosse un posto che segue un costante senso di giustizia, o anche solo di buon gusto, e anche se a scrivere le medesime storie fosse uno scrittore capace di scriverle. Prendiamo un caso emblematico. Quello di El Chino Maidana.

La storia è quella di un campione farlocco, Adrien Broner, e del momento esatto in cui il suo destino fatto più di chiacchiere che di fatti è incappato nella dura realtà, impersonata appunto nei pugni di Marcos Maidana, detto El Chino. In pratica c’è questo pugile molto cool, Adrien Broner, un atleta di colore, uno che si muove come fosse un rapper, spavaldo come una popstar e la cui ascesa nel mondo della boxe è più che altro legata a un calendario costruito su misura da manager che poco hanno a cuore lo sport, e molto il portafogli. In sostanza un percorso senza ostacoli fatto di incontri con soggetti decisamente poco pericolosi, giocando sul peso, quindi con continui spostamenti da una categoria a quella limitrofa, a seconda che si rischi o meno di incontrare non dico ossi duri, ma anche semplicemente pugili che si possano definire tali. Anche perché a scontrarsi con sportivi di categorie inferiori, solo grazie a una capacità innata, questo sì un talento, di perdere peso a comando, è un giochetto che sembra anche troppo facile, una ascesa alle stelle che non trova neanche la frizione dell’atmosfera, figuriamoci le asperità di meteoriti da schivare.

Tutto molto facile, telefonato, quasi imbarazzante. Finché dopo aver vinto con cani e porci non arriva il momento di incrociare i guantoni non certo con un fuoriclasse, ma con uno di quelli che, se sulla carta non fa paura, a vederlo qualche brivido lo mette, El Chino Maidana. Uno tosto, muscoloso, di quelli che vorresti a fianco in una rissa al bar, per intendersi. Sicuramente non contro. Non possiamo sapere cosa Adrien Broner abbia pensato quando il suo manager gli ha comunicato che no, stavolta non poteva evitare di incontrare uno di pari categoria, uno che probabilmente lo avrebbe anche gonfiato di botte, né possiamo sapere se Adrien ha subito capito a cosa sarebbe andato incontro. Possiamo semmai provare a interpretare come un gesto di spavalderia guascona quel suo prenderlo costantemente per il cu*o durante le settimane antecedenti all’incontro, quell’umiliarlo nelle sue dichiarazioni, quel provare a ridicolizzarlo trattandolo come si fa con chi non si ritine alla propria altezza. Una tecnica atta a minare l’autostima, certo non furbissima, visto che le scommesse tendono a assecondare anche questi atteggiamenti, ma tra il prenderle di santa ragione e il non portare a casa chissà quale cifra scommettendo su se stesso, converrete anche voi, tutti noi punteremmo sulla prima.

Anche l’ingresso sul ring di Adrien Broner è stato un lungo piano sequenza di cazzonaggine, con quei balletti a metà tra un Rocky Balboa d’annata e un video di Jay-Z, le facce buffe fatte a favore di telecamera, gli ammiccamenti al pubblico, le palesi punzecchiatine al suo avversario, lì concentrato su se stesso, poco propenso a concedere tempo e spazio a quelle che, evidentemente, non considerava faccende consone al proprio essere un pugile professionista. Poi però suona il ring, e di colpo la realtà entra in scena in tutto il suo metalmeccanico fulgore. Lui, Adrien Broner, non sembra accorgersene subito, nonostante sia piuttosto evidente sin dai primi secondi che non si tratterà di una passeggiata. Ma chi è spavaldo è spavaldo, ben lo sanno certi comici che pur di portare a casa battute da standing ovation sono disposti a perdere tutto, gli affetti, la casa, volendo anche la vita. Per cui lui, Adrien Broner, il pugile che ha visto la propria carriera ascendere al cielo senza incrociare mai avversari degni di tale nome è lì, mentre comincia a incassare colpi massicci, dolorosi, e in quanto massicci e dolorosi sconosciuti, continua a fare il buffone, arrivando addirittura a simulare un’inculata al Chino Maidana, nel momento in cui si trova ad abbracciarlo da dietro. Esattamente questo momento è, con buona probabilità, il punto di svolta di questa storia. Perché El Chino non è uno che dedica troppa attenzione ai dettagli, lui tende a menare e schivare i colpi, menare duro, come un fabbro che vuole forgiare una spada a colpi di maglio, e evitare i colpi più duri, quelli che ti fottono i neuroni in testa, che ti sformano i connotati.

Uno che ti si mette dietro e simula di incularti, per dire, è un colpo che uno che viene dai bassifondi come El Chino non può accettare, un colpo basso, irrispettoso, di quelli che ti restano addosso finché campi. Cioè, tu te ne torni nel tuo quartiere, magari a trovare i tuoi, e qualcuno ti guarda sorridendo. Non dice niente, sorride e basta, abbassando magari lo sguardo, perché resti sempre uno che mena le mani, ma tu in cuor tuo sai che ti sta prendendo per il culo, perché ha visto Adrien Broner che ti inchiappettava dentro la sua televisione, anche fosse ancora una televisione con il tubo catodico. Qualcuno, magari quelli con cui sei più in confidenza, magari proprio quelli che hanno coniato quel nomignolo, El Chino, immagino per quei tuoi occhi all’orientale, o magari perché da piccolo guardavi solo film di kung-fu, tipo quelli vecchi di Bruce Lee, va oltre, e simula proprio il gesto che Adrien ha fatto pubblicamente, braccia aperte, all’altezza dei fianchi, e colpi dati di bacino, come se di fronte avessero te, a novanta gradi. Non è sopportabile. Non va bene. Non che ci fosse bisogno di una motivazione ulteriore, perché quando sali sul ring, tu, El Chino Maidana, pensi solo a menare le mani, e a schivare i colpi. Non stai certo a fare il pagliaccio. Ma questa cosa ti spinge a andare oltre. 

Così decidi che Adrien non se la può cavare così, a buon mercato, e cominci a colpirlo con tutta la violenza che la vita ti ha insegnato, forse anche qualcosa in più. Lo colpisci alla testa, prevalentemente, sulla tempia, ma non disdegni anche alla figura, puntando su fegato e reni, lì dove fa più male. Pochi secondi e assesti un colpo alla testa di quelli che ucciderebbero un bue. Nello specifico Adrien Broner cade seduto a terra, un po’ meno spavaldo di quanto ti ha inculato, dall’altro lato del ring, e nel rialzarsi barcolla. Le gambe scivolano, faticano a rimettersi dritte. Fanno Giacomo Giacomo, avrebbero detto un tempo. Chissà come si dice “fanno Giacomo Giacomo” dalle parti in cui El Chino Maidana è cresciuto. Chissà come si dice nell’attico in cui Broner vive. Questi pochi istanti, El Chino che lo colpisce, Adrien che cade e nel rimettersi in piedi ha le gambe che ballano, che fanno Giacomo Giacomo, diventerà uno delle GIF più famose del pugilato, un momento decisamente più epico di quello che Adrien ha fatto pochi istanti prima. Anche perché El Chino non si ferma, continua a colpirlo. Adrien fatica a schivare i colpi, nonostante ricorra spesso a abbracci, implori con lo sguardo il suo allenatore e l’arbitro, cerchi di fuggire sul ring, correndo da una parte all’altra. La faccia di Broner è tumefatta, gonfia, slabbrata. A un certo punto, non bastassero le botte, il balletto involontario, Broner si tuffa a terra come uno di quei calciatori che invocano l’espulsione di un avversario che li ha appena sfiorati, la moviola ce lo farà vedere da più angolature. El Chino lo ha colpito alla bocca dopo che l’arbitro ha fischiato un break, ma anche quel tuffo contribuirà a sancirne la fine. Perché, non credo sia necessario spoilerarvelo, questo sarà l’incontro che sancirà la fine della carriera di Adrien Broner, la sua fine reale.

E se mai un momento può farsi cristallizzazione della fine di una parabola che fino a quel momento è stata ascendente, causando una caduta a picco che non lascia possibilità di risalite, bene, questo non è né il balletto di gambe né la caduta a tuffo, ma l’attimo in cui è lui, El Chino Maidana, quello che per minuti che devono essere stati interminabili ha colpito la faccia, il corpo di Adrien Broner con pugni a martello, implacabili, precisissimi. Che per essere ancora più efficace nel far male ha colpito il volto di destro, tenendolo fermo col sinistro, come se volesse piantare davvero un chiodo sul muro. Che ha fatto cadere più volte in ginocchio l’avversario, quasi incapace di rialzarsi, e forse non rialzarsi sarebbe stata un’uscita di scena più dignitosa, meno imbarazzante. Ecco, quel momento lì, quello della cristallizzazione della fine, arriva quando El Chino, dopo aver colpito a raffica e per l’ennesima volta Adrien Broner lo aggira, lo stringe con le sue braccia possenti e se lo incula, lì, davanti a tutti. Ma non in maniera spavalda, come ha fatto prima Broner, a inizio match, quando ancora non gli era evidentemente chiaro come sarebbe andata la serata, ma con il piglio di chi sa che ci sono faccende che vanno lavate col sangue, e volendo con un po’ di vasellina. Una sorta di Pericle il Nero della boxe, El China Maidana, uno che si incula l’avversario per umiliarlo, perché apprenda una dura lezione. Concetto forse non esattamente rispondente ai canoni del politicamente corretto, volendo anche un po’ spinto sul fronte del sessismo spiccio, ma comunque facilmente decodificabile per chiunque abbia un minimo di esperienza di strada, fosse anche solo l’esperienza di chi si è visto qualche serie tv a riguardo, senza averne vissute di prima mano.

El Chino Maidana, ovviamente, ha poi vinto l’incontro con Adrien Broner, andando a prendersi il titolo dei Pesi Welter, mettendo d’accordo tutti. Ma la sua vittoria era già avvenuta prima della fine dell’ultimo round, lui che, argentino di nascita e senza saper spiccicare una sola parola d’inglese, aveva saputo interpretare alla perfezione i messaggi del suo avversario, rovesciandoglieli contro. Avversario che, anche questo era scritto in quel balletto involontario di gambe, in quel tuffo incauto, in quel farsi inculare, così, come una resa, finirà proprio quel giorno la sua ascesa spavalda e un po’ finta, caduto sotto i colpi di un manovale imprevedibile, un brawler, dicono quelli che ne capiscono, El Chino Maidana, boxeur argentino partito da lontano e assurto al ruolo di re.

Ora, io non scrivo di boxe, credo sia evidente dal mio utilizzo incauto di parole, a grandi linee parole sbagliate. Scrivo di musica, e ultimamente, vista la brutta musica che gira intorno, scrivo di sistema musica. A questo punto, immagino, qualcuno di voi starà cercando di capire dove sto andando a parare. Chi sarà Adrien Broner, lo spavaldo buffone asceso senza meriti evidenti, riportato a giusta condizione a suon di mazzate da un vecchio manovale argentino? Chi sarà El Chino Maidana, ottuso picchiatore incapace di accettare offese che non crede di essersi meritato, lì a smontare, pugno dopo pungo, una menzogna ai suoi occhi illegittima? Qualcuno, ci scommetto, avrà pensato che, spinto da un impeto di eccesso megalomane, eccesso megalomane del resto già spalmato a profusione in tutti i miei scritti, El Chino Maidana sia io, e magari Adrien Broner, chissà?, Ferdinando Salzano o qualcuno dei tanti artisti che nel tempo si sono presi briga di rispondere imprudentemente e sfacciatamente alle mie critiche. Anche qui la lista sarebbe lunga, inutile star a fare nomi. Certo, non parlando di cavalli, non è del povero Biagio che si starebbe parlando.

Niente di tutto questo. Io mi limito a raccontare quel che vedo. E quel che vedo prova a andare solo un pochino più in là della punta del mio naso, senza tirare in ballo poter vaticinatori o intuizioni geniali, solo congiungendo i puntini, manco fossi un discorso motivazionale di Steve Jobs. E unendo i puntini mi sembra evidente che c’è un promoter incauto che sta spingendo giovani artisti spavaldi e sbruffoni a sfidare quelli che sanno davvero come menare le mani, col risultato che ben conosciamo. Perché se tra voi c’è anche solo uno che pensi che realmente Tha Supreme è superiore a livello di numeri e di economie di mettere a tappeto uno Zucchero, una Gianna Nannini, una Mina con Fossati, un Tiziano Ferro, solo perché la FIMI ha stabilito, quello sì arbitrariamente, che gli streaming pesano più del fisico, beh, allora quel qualcuno, non ho difficoltà a certificarlo anche per iscritto, non capisce un caxxo. Perché le economie che un Tha Supreme qualsiasi mette in circolo, le economie reali, sono assai meno di quelle che chi i dischi li ha venduti e li vende, seppur in numeri assai ridotti, e che soprattutto vende i biglietti, non gli ingressi Free Drink per ospitate in discoteca. E possono aver un bel dire che milioni di streaming son lì a promemoria di un epocale cambiamento, perché nei fatti siamo un paese in cui noi cinquantenni siamo assai più dei dodicenni, qualcuno si prenda agio di fare la conta, e i dodicenni, a parte usare Spotify coi soldi di papà, col caxxo che poi spendono soldi, che non hanno, per biglietti di concerti. Prova ne è l’emorragia di numeri quando si tratta di contare incassi nei live, dove ancora una volta a fare la differenza sono artisti quali Vasco, Jovanotti, volendo l’acciaccato Ligabue, non certo i Ghali o gli Sfera Ebbasta di turno. Lì non ci sono milioni di streaming che tengano, conta il repertorio, conta la storia, conta quello che hai seminato nel tempo.

Fortuna vuole, stiamo parlando di musica, mica di guerra, che gli artisti non si prendono a mazzate tra loro, non sarà certo il Tha Supreme di turno, colui che nelle prossime settimane, c’è da scommetterci neanche fossi un Giucas Casella qualsiasi, soffierà il primo posto prima a Gianna Nannini, e poi a Mina e Fossati nonché all’ex enfant prodige Tiziano Ferro, a prenderle di santa ragione da qualcuno più grosso e cattivo di lui. No, l’impressione, un’impressione piuttosto basata su confronti diretti con gli interessati più che su congetture e suggestioni, è che dovessero davvero andare così le prossime settimane a fare la fine del prode Broner saranno più quei discografici che hanno mandato allo sbaraglio le loro stelle più brillanti, si veda la Universal che ha messo l’uno contro l’altro Marracash con Zucchero, e la Sony che ha dato Mina e Fossati nonché la Nannini in pasto al diciottenne Tha Supreme. Saranno i discografici, certo, ma sarà anche la FIMI, che dei discografici è rappresentante e dai discografici rappresentata, sotto la guida del Tavecchio della discografia. Sono loro della FIMI a aver dato vita a questa simulazione per cui centotrenta streaming equivalgono a un acquisto, anche senza che si acquisti nulla. Sono loro a aver dato potere in mano a un tizio che fa le playlist, manco fosse il Signore dei dischi cantato dagli Skiantos. Potere per altro non concesso ai direttori artistici delle radio, vai a capire perché, dal momento che anche lì di classifica finta si tratta, non basata sui gusti del pubblico ma sulla decisione di un singolo.

La FIMI ha permesso tutto questo, sia messo agli atti.

Hai voglia a parlare di futuro roseo e di numeri giganteschi, hai voglia a parlare di ripresa, hai voglia a parlare di barriere geografiche e commerciali rimosse, saranno mazzate date alla cieca ma con la precisa intenzione di far male, saranno le gambe che cedono e fanno Giacomo Giacomo, saranno caxxi in cu*o che arrivano quando ormai la faccia è livida e tumefatta.

El Chino Maidana non perdona, non credo che Zucchero e soci siano da meno.