Pinuccio Sciola e le “pietre che cantano”

L’incontro con l’uomo e la sua esperienza artistica è stato talmente sorprendente e magico che mi ha segnato profondamente


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Mi riesce difficile parlare e scrivere di Pinuccio Sciola e delle sue “pietre che cantano”, poiché l’incontro con l’uomo e la sua esperienza artistica è stato talmente sorprendente e magico che mi ha segnato profondamente, come ha segnato tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo non solo attraverso le sue opere. La sua scomparsa, avvenuta tre anni fa, ha lasciato nel mondo dell’arte e in coloro che l’amavano un grande vuoto ma anche un patrimonio dal valore incommensurabile. Pinuccio nasce a San Sperate, in provincia di Cagliari, un angolino dell’ isola sarda diventato oggi un museo a cielo aperto per quel Giardino Sonoro, il Giardino Megalitico e quei suoi murales colorati dove imprimeva la sua arte visionaria, e che hanno reso San Sperate il “Paese Museo” conosciuto in tutto il mondo. Le pietre sonore, in grado di emettere dei suoni se accarezzate dalle mani, toccate da plettri, altre pietre o attraversate dal vento, erano inizialmente blocchi di materia solida di basalto e calcare, i materiali più antichi della Sardegna, trovati nel suo girovagare all’interno dell’isola. Mi disse un giorno che erano le pietre a chiamarlo per poter liberare la propria voce interiore, sosteneva che queste hanno un’anima, elasticità, memoria e un suono nato con loro stesse. Le faceva caricare su un camion, portare nel suo laboratorio, le lavorava a lungo con delle incisioni per creare spazi di risonanza dove, attraverso delle vibrazioni, portare alla luce il loro suono primitivo. Per questo motivo chiamava il suo laboratorio la “sala travaglio”, per quella nascita delle pietre testimoniata dalla liberazione di un primo suono imprigionato da sempre. Il calcare, da un punto di vista geologico acqua fossilizzata, sotto quelle sue mani forti e gentili creava suoni liquidi, tirando fuori la sua ancestrale memoria acquatica. Così come il basalto, pietra di origine vulcanica, emetteva il rumore che fa il fuoco quando arde. Il lavoro scultoreo-musicale di Sciola, le cui opere sono esposte in varie parti del mondo (a Roma nella città della Musica di Renzo Piano), è per qualche verso vicino alle sperimentazioni di John Cage, il quale considerava che ogni oggetto della realtà ha una voce che può essere liberata anche attraverso una carezza, un leggero sfregamento “… non ho mai smesso di palpare le cose, di farle suonare e risuonare per scoprire quali suoni contenessero”. ​Entrare nel giardino delle pietre sonanti di Sciola ci dà la prova che questo approccio animistico ha un senso, che va oltre la bellezza estetica e suggestiva di quei blocchi all’origine informi divenuti tra le mani del Maestro menhir, grattacieli, vele, pettini, sfere celesti e sistemati in un parco tra alberi di arancio, margherite e piante spontanee. Il senso che la materia e il suono sono inscindibili, la pietra diventa uno strumento, la musica la sua manifestazione acustica. Forse il lavoro rivoluzionario di Pinuccio è antico come il mondo ma ci voleva la sua arte per ricordarci, cosa che non mancava mai di fare, che “ quando è nata la luce, la pietra già esisteva e l’ha illuminata, e prima di Dio c’era il suono”. Non sarà più possibile entrare in quella sua casa caotica e senza porte dove c’era sempre un piatto di pasta, del formaggio e del vino ad accogliere chiunque entrasse, anche in sua assenza, dove intellettuali, musicisti, musicologi, pittori, scultori a volte si fermavano per giorni, incantati dalle sue pietre e da quei suoni che liberava non prima di aver giunto le sue mani e pregato, proprio come si fa davanti alle opere sacre. E’ possibile però visitare il suo paese e il suo giardino, un’esperienza unica che resterà scolpita negli occhi e nel cuore. E’ consigliabile farlo verso il tramonto, quando le pietre si accendono di ocra e il vento si alza per creare sinfonie inudite e meravigliose. E provare ad accarezzare la materia più dura che esiste per sentire la sua voce.