Col mio amico e sua figlia a vedere Izi e Emis Killa, il mondo potrebbe finire qua, e Rutger Hauer ha fatto bene a morire

Lui che aveva visto cose che noi umani, in Blade Runner aveva capito tutto, il 2019 con questa roba in giro ‘era’ proprio il tempo di morire

Izy e Emis Killa

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Roy Batty, il replicante saggio, quello dei Bastioni di Orione, si spegneva con le sue lacrime nella pioggia proprio in quel 2019 del film messo in piedi da Ridley Scott. Una profezia maledetta. Si perché quel film non ci solleticava la solita fantasia tecnologica dei futuri cinematografici, dove per forza dobbiamo come minimo andare al lavoro in volo o dobbiamo avere una compagna robotica che ha sconfitto la cellulite per sempre con acciaio e silicone. No, a tanti di noi, di Blade Runner rimane quella scena lì, con Rutger Hauer che agonizza e dice cose che oggi sappiamo a memoria, fino a chiudere con la sempiterna battuta: È Tempo Di Morire, Time to die.

Io lo dico oggi, è tempo di morire. Dopo aver visto gli a me ignoti fino a poco prima Izi e Emis Killa, che già i nomi ti preparano al peggio, ebbene io dico che se siamo messi così, allora chiediamoci se sia definitivamente tempo di morire. E mi rispondo da solo, è così. Noi oggi siamo proprio sotto la pioggia come Rutger, come in quell’altro 2019 di Blade Runner.

Tutti replicanti. Genitori replicanti di figli replicanti, resi tali da un appiattimento che ci formatta a cannone da media e social, dove l’aggravante è che tutti noi non duriamo solo 4 anni come il buon Roy Batty ma purtroppo viviamo sempre di più. Un danno dunque duraturo.

Izi e Skilla sono replicantissimi, istanze, sagome lagnose stampate a formina che incrostano le orecchie dei giovanissimi. Acari che proliferano dentro ambienti protetti, come Spotify. Si moltiplicano e avanzano attraverso i cavetti delle cuffie o nuotano nelle onde del bluetooth, saltano dentro le adolescenziali orecchie e colonizzano i cervelli, che trovano in realtà pieni di spazi, quasi vuoti. I cervelli li ospitano come malware e ne assumono linguaggi e colori. Risultato? Ragazzine che si dimenano orrendamente e ripetono con la precisione di una supervecchia da battaglia sgranatrice di Rosari da prima fila in una Chiesa, le litanìe battenti dei loro eroi, quegli impronunciabili scioglilingua con sotto una percussione tipo nave romana con gli schiavi che remano. Tu le ascolti e senti raffiche di consonanti e capisci qualcosa solo quando le metriche si fermano ogni tanto su qualche cazzo o qualche figa o marcano il tempo su rime scoppiettanti tipo puTTane o scoPAte.

In un’intervista a Radio24 il signor Emis Killa (Supereroe, 2019) chiamato ad un’ opinione sul rapporto di coppia, dichiarò che non bisognava mai dimenticarsi di leccare la figa alla propria compagna. Questo il suo insegnamento alla giovane umanità, il capitale artistico.

Non parlo da hater, parlo da replicante sdraiato e anche sfigato che non ha visto neanche ‘sti Bastioni di Orione, e non ha neanche le lacrime per farle sciogliere nella pioggia, e non piove neanche. Parlo da curioso turista della vita. Sul signor Skilla sono andato anche a leggermi cose in rete, tipo questa bella analisi di Sentireascoltare, dove l’autore dell’articolo individua il Sé e la Figa come componenti principali dell’opera dell’artista. Tant’è. Ci si chiede ma se questo è il segno dei tempi, ma che tempi di merda sono?

Su Izi non voglio neanche andarci pesante, ad ascoltarlo (Aletheia, 2019) mi è venuta una reazione cutanea, ma ho letto in giro per la rete che il ragazzo prova a fare poesia con i suoi mezzi, che è uno che ci crede. Addirittura Biazzetti su Rolling Stones parla di anello mancante tra De André e la trap. Un anello borchiato. Ma voglio attendere, voglio salvare il soldato Ryan.

Nel frattempo, come i pompieri di Chernobyl, io ho esposto il mio già provato cervello a quasi 30 minuti di radiazioni davanti al nocciolo scoperto della musica dei nostri due. Tramortito dalle urla di dozzine di future donne di domani, non ho saputo ripararmi, ora ne affronterò le conseguenze.

Mentre mi accartoccio potrei diventare reporter della tristezza e del deboscio culturale. Come i documentaristi di Sky, nei pochi anni d’agonìa che mi restano, potrei infilarmi nei concerti trap e studiare questo Pitone antimusicale gigantesco che ci stritola nelle sue spire. Vedremo.

Ad ogni buon modo.
2019, è tempo di morire. Ed è tempo anche di mortacci, quelli di chi ha consentito che tutto ciò avvenisse.

Ciao grande Rutger, si, hai ragione tu. Sei morto due volte nel 2019 per farcelo capire. Questo misero articolo è un tributo alla tua leggenda.

I’ve seen things you people wouldn’t believe. Attack ships on fire off the shoulder of Orion. I watched C-beams glitter in the dark near the Tannhäuser Gate. All those moments will be lost in time, like tears in rain. Time to die.