Serenity, Matthew McConaughey e Anne Hataway nel noir più scombiccherato dell’anno

Il nuovo film di Steven Knight rimette insieme le due star di Interstellar, ma il risultato è a dir poco deludente. Parte come un noir con femme fatale e passioni bollenti. Poi si trasforma in tutta un'altra cosa. Ma esattamente, che cosa?

Serenity

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Ma esattamente, che cosa è Serenity – L’Isola Dell’Inganno? Sulla carta sarebbe dovuto essere il film della consacrazione per Steven Knight, uno che come regista s’era segnalato col tour de force virtuosistico di Locke, one man show di Tom Hardy chiuso per un’ora e mezza nell’abitacolo di un’automobile. E che prima, come sceneggiatore, aveva apposto la sua firma a neo-noir raggelanti come La Promessa Dell’Assassino di David Cronenberg o l’elusivo Allied di Robert Zemeckis, rilettura stilosissima delle spy story belliche anni Quaranta.

In più Serenity poteva contare anche su una coppia d’attori di primo piano, i premi Oscar Matthew McConaughey e Anne Hathaway, di nuovo insieme dopo Interstellar di Christopher Nolan. C’erano insomma tutti i presupposti per un noir intrigante condito da promesse di alta temperatura erotica. Ne è uscito fuori invece un indigesto pastiche di generi e stili, privo di misura e di senso del ridicolo, che oscilla tra noir e mind game per adolescenti, con sconfinamenti nell’irrazionale e nel misticheggiante.

Serenity è la storia di Baker Dill (McConaughey), un uomo che si è autoconfinato in una isoletta dei Caraibi, s’intuisce, per espiare qualche colpa nascosta. Intanto sopravvive portando con la sua barca in giro turisti facoltosi in cerca delle emozioni forti e molto virili della pesca d’altura ai pescecani. Ma è lui stesso, non si sa bene perché, ad essere ossessionato dalla caccia a un gigantesco tonno. Solo che, vista l’ambientazione torrida e decadente, più che di fronte a sfide esistenziali alla Il Vecchio E Il Mare siamo dalle parti dei peggiori bar di Caracas, col protagonista sempre sudaticcio e in bolletta, in compagnia dell’inseparabile bottiglia o al massimo della sua matura amante (Diane Lane), che nei momenti di difficoltà gli allunga un centone per le prestazioni.

Dal passato riemerge Karen (Hataway), femme fatale in versione finta bionda, che come la Barbara Stanwick de La Fiamma Del Peccato o la Lana Turner de Il Postino Suona Sempre Due Volte – così siamo smaccatamente nel territorio dei grandi noir anni Quaranta – istiga Baker, allettandolo con un mucchio di soldi, a uccidere il suo disgustoso marito ricco e violento (Jason Clarke alle prese con un ruolo imbarazzante per assenza di scrittura), che oltre a picchiare lei odia pure il di lei giovane figlio. Baker tentenna, ma soprattutto per il bene del ragazzino alla fine accetta la proposta.

E fin qui Serenity mantiene per lo meno la linearità della propria identità da neo-noir, certo sguazzando nei più vieti clichés stilistici – colori ipersaturi, ralenti, controluce, sensualità torbida che punta a Brivido Caldo ma assomiglia più a Revenge – e con personaggi a dir poco bidimensionali. Il peggio però deve ancora venire. E coincide con il trasformarsi della storia in un guazzabuglio in cui il suddetto ragazzino, genio dei computer, potrebbe essere forse il burattinaio di una vicenda di tutt’altro tenore, in cui niente è quello che sembra. Baker è pure inseguito da uno strano rappresentante d’azienda che vuole vendergli una nuova tecnologia, appostandosi vestito di tutto punto fuori casa sua sotto la pioggia in piena notte. Il tizio sa anche troppe cose sul suo passato di ex militare della guerra in Iraq. A dire il vero in quell’isola tutti sanno troppo di tutti, e allora a Baker scattano pure paranoie da Truman Show.

A quel punto il regista di fronte al pasticciato sfilacciamento del racconto mette in bocca ai protagonisti una nutrita serie di spiegoni, per simulare una sorta di verosimiglianza narrativa, confidando nel fatto che il pubblico abbocchi come i tonni di cui sopra. Il problema di Serenity non è neanche la bruttezza, in fondo s’è visto di peggio: sono la pretenziosità e il tono serioso dell’opera certa di star rivelando chissà quale profonda verità a renderlo indigesto e irricuperabile persino come stracult. Un film che segna l’ennesimo passo falso nella carriera della Hataway e un preoccupante tuffo nel passato per Matthew McConaughey, attore bravissimo a inventarsi una seconda vita da mattatore e qui invece ritornato a un ruolo con bicipiti in bella vista e poco altro.