Nel primo episodio di Chernobyl l’inadeguatezza dei dialoghi passa in secondo piano rispetto a tutto il resto

L'inadeguatezza dei dialoghi passa in secondo piano rispetto al racconto, alla regia e alla fotografia in Chernobyl


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Il male ha il suo fascino, in tutte le sue forme, ed è questo che deve aver attratto il pubblico tanto da elogiare Chernobyl e innalzarla a serie più acclamata di quest’ultimo anno (e non solo). Le recensioni positive si sprecano così come il successo di pubblico che in poco tempo ha regalato ad HBO e a Sky Atlantic importanti risultati, ma questa serie è davvero così perfetta come dicono?  L’ottima regia di Johan Renck e la sceneggiatura di Craig Mazin hanno il compito di portare il pubblico indietro nel tempo, nella recente storia mondiale vivisezionando un evento che è ancora davvero troppo recente per non creare scalpore, nuove ferite e sconvolgimenti.

Se a questo uniamo il fatto che Chernobyl ha ottenuto un grandissimo successo di pubblico regalandogli quello che lo stesso Cremlino ha chiamato un “giudizio di parte”, ovvero quello americano, il gioco è fatto e il caso è aperto. Questo è il successo della serie. Riportare il pubblico a 33 anni fa, portando a galla i dettagli e gli errori commessi la notte dell’esplosione del reattore che ha portato morte e distruzione per anni in quasi tutta Europa, fa ancora più male di importanti colossal pronti a raccontare le due Guerre Mondiali e le loro brutalità.

Il progetto è molto ambizioso, lo si capisce subito dalle firme di chi se ne è occupato dietro le quinte, ma anche dai volti che si sono prestati per dar vita ad un mix perfetto di personaggi realmente esistiti e quelli fittizi, creati ad hoc per la trama. Da Jared Harris a Stellan Skarsgård ed Emily Watson, il comparto attoriale si dimostra di altissimo livello anche in quelli che possiamo reputare i ruoli minori ma qualcosa non quadra e, se proprio vogliamo, alla fine il difetto si riesce a trovarlo anche in Chernobyl.

Se la si guarda con occhio clinico, la serie regala il punto di vista americano alla triste tragedia di Chernobyl non solo per quel che riguarda la trama e il racconto di quella notte e dello stesso incidente, ma anche dal punto di vista del linguaggio. Perché non regalare al pubblico la vicenda anche in lingua “originale” ovvero quella degli stessi protagonisti di quella storia? Sicuramente questo sarebbe stato un punto in più per una serie che pecca un po’ proprio dal punto di vista della lingua e dei dialoghi che spesso ricevono un importante soccorso dalla fotografia e dalle lunghe e strazianti scene “mute” sottolineando subito, sin dai primi minuti del pilot, che quello che ci sarà raccontato sarà crudo e spietato.

Il primo episodio di Chernobyl comincia in medias res con un primo impatto su Valerij Legasov, interpretato da Jared Harris, intento a registrare un messaggio indirizzato ad un mittente sconosciuto e in cui racconta la sua verità su quanto è accaduto prima di togliersi la vita. La serie torna poi tre anni indietro e porta il pubblico all’interno della centrale dove Anatoly Dyatlov (Paul Ritter), capo ingegnere della centrale di Chernobyl, cerca subito di sminuire quello che è successo insieme ai suoi tecnici convinto di essere davanti ad un incendio che spesso diventerà solo un brutto ricordo.

Sarà proprio lui, a pochi minuti dal finale del primo episodio, il protagonista di una scena che difficilmente i fan di Chernobyl dimenticheranno, il momento in cui portato all’esterno per via dei primi sintomi delle radiazioni, si accorge delle mostruosità che già lo circondano. Tutto questo è Chernobyl, una serie che riesce a colpire come un pugno allo stomaco, anche senza importanti dialoghi, mostrando brutalmente tutte le conseguenze del disastro senza bisogno di abbellimenti estetici e puntando su una visione claustrofobica che colpirà il pubblico in tutti e cinque gli episodi, ne siamo sicuri.