I miei primi cinquant’anni e i tormentoni inutili di questa estate

È davvero un peccato che nel giorno del mio compleanno usciranno tante canzoni che fanno cagare profondamente.


INTERAZIONI: 529

Sono nato il 2 giugno del 1969. Domani, se state leggendo il primo di giugno del 2019, compirò cinquant’anni. Mi impressiona anche solo scriverlo. Cinquant’anni. Domani, inoltre, vedi sopra, saranno anche cinquant’anni che è morto il mio fratello gemello, Francesco. Ho già raccontato questa storia, all’epoca non c’erano le ecografie, e rimase strozzato dal cordone ombelicale. Questo ha fatto di me un gemello senza gemello, un sopravvissuto, e del giorno del mio compleanno anche un giorno di lutto. Pensateci. Festeggiare gli anni nel giorno in cui è morto il vostro gemello. Ho pochi ricordi del mio passato, non so se per una mera questione di mega, non ho spazio e per conservarne di più recenti devo rimuovere quelli più vecchi, come con gli smartphone, o per una più antica faccenda di subconscio. Sta di fatto che ho una vaga memoria dei miei compleanni da piccolo ammantati di un malcelata cupezza. Malcelata da parte dei miei, ovviamente, che hanno fatto di tutto per non farmi pesare questo giorno di lutto, ma proprio per il fatto di essere miei, quindi parte delle persone che più conosco al mondo, da sempre, difficilmente sono riusciti nel loro intento di non coprire di lacrime quelli che in realtà avrebbero dovuto essere giorni di gioia. Non ricordo episodi specifici, per cui, essendo appunto privo di memoria potrebbe anche essere solo una mia ricostruzione mentale, una suggestione che mi sono creato da solo, a mio beneficio. Il non avere memoria mi ha spesso portato a questo, ricostruire il mio passato in toni epici, dando sfogo alla fantasia. Una fantasia ovviamente benevola nei miei confronti, è la mia fantasia. Non ricordo episodi specifici, quindi, ma posso dire, questo sì con una certa sicurezza, che il mio essere in qualche modo un sopravvissuto ha fatto di me anche un figlio particolarmente coccolato, protetto. Sono stato come avvolto dall’amore dei miei genitori, che in qualche modo hanno fatto di tutto perché almeno io, oltre ai miei due fratelli maggiori, Marco, otto anni più di me, e Caterina, sei anni più di me, non me ne andassi. Questo si è tradotto, in soldoni e provando a usare un po’ di cinismo per stemperare la pesantezza di quanto sto raccontando, in qualcosa che si potrebbe anche descrivere come un atteggiamento iperprotettivo, almeno fino alla mia adolescenza. Per dire, non sono andato all’asilo come tutti i miei coetanei a tre anni. Perché non volevo andare e ho fatto un sacco di storie, certo, ma sicuramente la faccenda aveva anche altre sfumature, come il non lasciarmi andare, il tenermi sotto le ali materne, e tutte quelle storie lì. Non sono neanche mai andato in colonia, come invece era successo ai miei fratelli maggiori. Vedi sopra.

Poi di colpo è arrivata l’adolescenza, e anche un cambio di equilibri nella mia famiglia. Mia sorella si è sposata giovanissima, forse anche lei per provare a staccarsi, mio fratello no, lo ha fatto dopo. I miei sono diventati responsabili nazionali di un gruppo di famiglie legate alla Società San Paolo, e hanno iniziato con una certa frequenza a viaggiare per l’Italia, almeno nei fine settimana. Io ho iniziato a allargare il mio giro di amicizie, finendo per frequentare, ancora non ho ben capito perché, per un certo periodo di tempo, il movimento di Comunione e Liberazione. Lì, durante quella mia estemporanea frequentazione, è successo che per la prima volta mi capitasse di dormire fuori casa. Cioè, mi era successo, sporadicamente, durante le gite di scuola o in rarissime altre occasioni, ma lì la faccenda ha preso un’altra piega. Perché andandomene per un po’ di casa ho compiuto quello che, volessi davvero giocarmi la carta del cinismo più becero, potrei definire come il definitivo taglio del mio cordone ombelicale. Sono andato prima a una vacanza in montagna, e dopo un mesetto al Meeting di Rimini, e proprio in quell’occasione, questo lo ricordo nitidamente, sono stato chiamato a gran voce dagli altoparlanti perché ero atteso al telefono, pensa te, esisteva il telefono del Meeting, per parlare coi miei, che non avevano nessuna notizia di me da giorni. Mi avevano giusto visto urlare come un pazzo al ConcertItalia, evento dal vivo che si teneva tutti gli anni all’interno della Fiera, unico a conoscere quel tizio di nome Luca Carboni che presentava in anteprima la sua Farfallina, ma per il resto niente, come se fossi stato rapito dagli alieni.

Durante quel meeting, per altro, ho anche iniziato a capire che le regole, quelle regole alle quali mi ero sempre attenuto con una certa diligente attenzione, potevano essere schivate. Era successo questo, io e mio cugino Alberto, che all’epoca viveva in simbiosi con me, al punto che eravano chiamati, visto che lui si chiamava Dubini di cognome, i Doobie Brothers, ecco, era successo che io e mio cugino Alberto, proprio per il nostro atteggiamento placido, eravamo stati messi in camera con Don Lorenzo, il giovane prete che proprio dalla vicina Cattolica era stato mandato a Ancona. Converrete con me, essere a Rimini, la patria del divertimento, in un albergo pieno di nostri coetanei, ma in camera con un prete, seppur giovane, non è esattamente una botta di vita. Così abbiamo iniziato a manifestare la volontà di avere un’altra camera, da soli. In realtà ho cominciato io a manifestare questa volontà, perché mio cugino Alberto non è che avesse questa personalità debordante. Sapevo che molti si ritrovavano la notte in un’unica stanza, a fare casino. Niente di particolarmente rock’n’roll, ma un po’ di sano divertimento, e che cazzo. Così una notte convinco mio cugino a andare anche noi in uno di questi party notturni, lasciando Don Lorenzo al suo destino. Passiamo la notte in una stanza con nostre tre amiche, in realtà a chiacchierare e suonare la chitarra, va beh, ma è la nostra prima notte di trasgressione. La mattina veniamo convocati da Don Alberto, che di Don Lorenzo era il capo, e ci viene fatta una ramanzina di quelle che, in teoria, ci si dovrebbe ricordare fino all’ultimo dei nostri giorni. Non ricordo nulla di quello che mi venne detto, vedi sopra, se non la minaccia neanche troppo velata di dire tutto ai nostri genitori. Sticazzi, direi oggi, ma allora la cosa poteva anche suonare minacciosa davvero, eravamo ragazzini, e ovviamente per quella sana forma di narcisismo che di lì in poi non mi avrebbe più abbandonato, credo ve ne siate accorti, non avevamo certo raccontato i dettagli di quella nostra nottata nella camera delle ragazze. Nei fatti avevamo dormito con delle ragazze, punto. Vagli a spiegare che avevamo appunto dormito. Sia come sia veniamo minacciati pesantemente. E siccome Don Lorenzo era quasi un nostro coetaneo, identifichiamo in lui il punto debole della catena, nonché il traditore. Per cui decido di punirlo, tirandomi ovviamente dietro mio cugino Alberto. Prendiamo nel cortile dell’albergo che ci ospitava, tecnicamente più una pensione che un alberto, un tubo di gomma di quelli che si usano per innaffiare le piante, una canna dicono dalle mie parti, e lo attacchiamo al rubinetto del bagno, poi appoggiamo l’altra estremità del tubo sul materasso del letto di Don Lorenzo. Non un getto troppo forte, ma comunque un getto importante. Poi usciamo. Torniamo dopo circa due ore, il materasso di Don Lorenzo è intriso d’acqua. Decidiamo di portarci via i nostri due, tanto per non lasciare modo al prelato di accomodarsi nei nostri letti, e ce ne torniamo a dormire nella stanza delle ragazze. Don Lorenzo arriva, vede il risultato del nostro scherzo e decide di fare lo splendido, mettendosi a dormire sul materasso, non prima di averci appoggiato sopra un telo da mare. Chiaramente una volta tornati a Ancona lui e Don Alberto avvisano i nostri genitori del nostro comportamento scorretto. Fatto che implica una successiva pena.

Siccome ritengo che le vendette vadano consumate con calma metto un anno tra me e questo proposito. Con in mezzo un altro Meeting, vissuto un po’ più con spirito rock’n’roll del precedente. Molto più rock’n’roll del precedente.

Siamo al 4 di settembre 1987, questo non lo ricordo ma google viene in mio aiuto. In tv danno il concerto di Madonna dallo Stadio Delle Alpi di Torino. Quello del “siete caldi, anch’io”, pronunciato con l’accento sbagliato. Io, Alberto, Luca, un altro nostro amico che in quel periodo aveva dato vita con me alla squadra di calcetto imbattibile in zona chiamata Gruppo Etilico, credo non sia necessario spiegarvi il perché, e che in quel famoso Meeting aveva dato vita a tutta una serie di escamotage tipo il nascondere il vino e il Caffè Borghetti nello sciacquone del cesso, per impedire ai don di trovarlo e anche per mantenerli freschi, andiamo a vedere il concerto in campagna, a casa di un nostro amico comune. Poi torniamo in città. È arrivato il momento di vendicarci. Andiamo verso la parrocchia che ospita Don Lorenzo, quella del Pinocchio, quartiere anconetano che prende il nome dal burattino di Collodi per una statua a lui dedicata che si trova in una piazza. È notte fonda. Decidiamo di andare sotto le sue finestre, poste lungo una scalinata che si trova di lato alla chiesa, e di prendere a sberle le tapparelle, per mettergli paura. Non un grande scherzo, è vero, ma fatto in piena notte, è piena notte, quantomeno gli metterà molta paura. Scendiamo la scalinata, larga e con quei gradoni posti a una certa distanza l’uno dall’altro che ti costringono a passi irregolari. Alberto, mio cugino, decide che di passi irregolari si è rotto i coglioni, così passa per il muretto che costeggia i gradoni. Siamo quasi arrivati alla finestra di Don Lorenzo. Ci siamo. Faccio in tempo a assestare i primi sonori pugni contro la finestra quando sento un grido, alle mie spalle, seguiti da una salva di bestemmie. È mio cugino, che è caduto perché non si è accorto che nel muretto è stato messo un filo per stendere i panni. Urla, mio cugino. Urlo, io. Urla anche Luca. Anche dall’interno, dietro la tapparella, arriva un urlo. Ma non è la voce di Don Lorenzo. È quella del parroco del Pinocchio. Un anziano prelato di nome Don Almerino, chiamato da tutti, o quantomeno da molti, Don Almirante, per le sue simpatie destrorse. Sta piagnucolando da dietro la tapparella, implorando di non fargli del male. Scappiamo. Alberto continuando a sacramentare, noi ridendo come pazzi. L’indomani mio padre, che è un diacono e frequentava (frequenta ancora) la curia, a tavola ci racconta che nella notte dei rapitori hanno provato a fare del male a Don Almerino. La notizia fa il giro della città. Solo noi, allora, sapevamo la verità. Ora un po’ più di gente, suppongo. Ma magari anche questa storia è un po’ stata ritoccata dal mio subconscio. Nei fatti Don Lorenzo lo abbiamo punito lo stesso, sgonfiandogli tutte e quattro le ruote della macchina. Fatto che lui, cazzone come noi, ha finto di non notare, andandosene dal parcheggio dove si trovava fino a un gommista del quartiere praticamente sui cerchioni, col risultato di aver tagliato tutte le gomme costringendo quest’ultimo a cambiargli il treno di ruote.

Nel passaggio dall’essere un cucciolo sopravvissuto all’essere quello che di notte vuole rapire Don Almirante, lo avrete capito, c’è quella che in letteratura si chiama perdita dell’innocenza. E fossimo in un romanzo di formazione, invece che in un articolo, a questo punto dovrei anche tirare fuori una qualche morale.

Invece passo a occuparmi del tema centrale di questo articolo. Ieri sono usciti un numero imprecisato di singoli destinati, o meglio, autodestinatisi a diventare i tormentoni dell’estate. Da Federica Abbate feat Lorenzo Fragola a Baby K, passando per Mika, Benji e Fede, Calcutta e Tiziano Ferro. Singoli che si uniscono ai già usciti, e poco inculati dalle classifiche, Jambo di Takagi e Ketra, feat Giusy Ferreri, Arrogante di Irama e tutta una serie di singoli tirati fuori senza essere passati dagli album, come le imminenti hit di Fabrizio Moro feat Anastasio, Jovanotti e compagnia cantante. Due le caratteristiche, quindi, roba fatta al momento, fuori dall’album pubblicato di recente, e possibilmente brani fatti in compagnia, tanto per provare a mettere insieme più di un pubblico di riferimento.Tutti brani destinati a non generare economie, comunque.

Ecco, tutte queste canzoni fanno cagare profondamente. Tolgono la voglia di vivere. Indurrebbero anche il più bravo dei ragazzi a uscire di notte per andare a prendere a pugni la finestra di un prete. Se domani leggete di un cinquantenne fermato dalla polizia mentre bullizzava un parroco, beh, sappiate che dietro quel M.M. ci sono io. Spero mi diano almeno le attenuanti generiche, o la legittima difesa.