Il nuovo album dei Rammstein è un lieto ritorno al sangue e al metallo (recensione)

Till Lindemann racconta ancora storie disturbanti, canta l'amore e si dimena sul rullante martellante di Schneider: come prima e più di prima li ameremo


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Ce lo hanno fatto sudare e invocare con delirante e febbrile insistenza, ma alla fine il nuovo album di Rammstein è arrivato e ci ha letteralmente preso a calci nel posteriore. La voce di Lindemann, le chitarre di Landers e Kruspe, la batteria di Schneider, il basso di Riedel e le tastiere di Lorenz erano ancora lì, buttate in qualche seminterrato blindato dal freddo degli inverni e dalle temperature roventi dell’estate, pronti per diventare di nuovo l’artiglieria tipica dei Rammstein: una martellata che infrange le articolazioni.

“Liebe ist für alle da” (2009) non ci era piaciuto quanto “Mutter” (2001) e “Reise, reise” (2004), e avevamo iniziato a storcere il naso già dai tempi di “Rosenrot” (2005). Ci piace parlare di incidenti di percorso, quando pensiamo ai due album che hanno preceduto questa novità discografica tanto attesa e tanto temuta. È il tempo del perdono, perché l’epicità e la potenza sono ai livelli di Rammlied, l’opening track di “Liebe ist für alle da” (2009), uno dei pochissimi brani che salvavano l’album.

Con quel teaser maledetto e contestato eravamo arrivati al primo singolo estratto, Deutschland, un titolo e un significato. Un synth quasi trance e quasi goth apre le danze del brano e del disco, in una canzone che redarguisce la Germania con una sculacciata metal e tormentata, tipica di una madre che non approva l’azione del figlio. Sì, perché in Deutschland Till Lindemann canta la sua Germania come farebbe un padre, e non un figlio della sua terra. L’amore-odio per il proprio Paese, del resto, è tipico di questo mondo.

La seconda anticipazione, Radio, ci mostra i Rammstein alle prese con l’esaltazione del mezzo di diffusione più antico e minacciato del mondo, in una canzone che coniuga la denuncia alla censura con le abilità sonore di Lorenz, senza trascurare quel muro sonoro che solo le chitarre di Landers e Kruspe sanno innalzare. Il sintetizzatore fa il verso ai vecchi sintonizzatori e Schneider sceglie il levare sul charleston, soluzione che crea il “tiro”, termine usato da molti critici per definire la dinamica trascinante di un pezzo.

Sì, sono tornati i Rammstein e lo scopriamo anche con Zeig Dich nella quale troviamo l’imponenza sonora di RammliedHallelujah. Di nuovo il clan di Till Lindemann esplora il mondo del sacro e del clero con una canzone che è una sorta di esorcismo, ma anche un’invettiva contro la morale cattolica:

Nascondi, rinuncia,
brucia e distruggi.
Contraccezione vietata,
Diffondono offerte,
Annunciano la persecuzione,
il perdono dei peccati.
Prolifica, moltiplica,
nel nome del Signore.

Il brano si apre con un canto sacro per poi investirci con tutta la potenza che è tipica dei Rammstein, e all’urlo di “Zeig Dich” (“Mostrati”) gli accordi diventano riff che ci fanno toccare l’inferno con un dito. Schneider corre spedito sulle pelli, e il basso di Oliver Riedel diventa la lama rotante che strazia le carni su un tempo dritto e squadrato. Ausländer è un brano dance. No, scusate: Ausländer è un brano dance dei Rammstein, e questo dovrebbe essere chiaro. Till Lindemann racconta la condizione di un appassionato di viaggi e l’importanza della comunicazione, ma lo fa vestendo i panni del seduttore che cerca l’approccio con una donna sfruttando la conoscenza delle lingue:

Ich bin Ausländer (Ausländer)
Mi amor, mon chéri
Ausländer (Ausländer)
Ciao, ragazza, take a chance on me
Ich bin Ausländer (Ausländer)
Mon amour, я люблю тебя
Ein Ausländer (Ausländer)
Come on, baby, c’est, c’est, c’est la vie.

Sex è la rivincita di Keine lust su Ich tu dir weh, ma è anche la sorella maggiore di Pu**y. Parliamo di un riff che ci rende orgogliosi di conoscere Personal Jesus dei Depeche Mode e Pu**y Liquor di Rob Zombie, ma anche di uno stile scanzonato e martellante che non sentivamo da un po’. Dopo la prima metà del brano incontriamo la distorsione dei due chitarristi si trasforma in fuzz che cede ai cromatismi invertiti, poi interviene il synth di Lorenz che dà un tocco quasi prog a tutto l’arrangiamento. Sì, quasi prog.

Puppe è il ritorno della fiaba nera tanto cara ai Rammstein, come accadeva in Mein herz brenntSpieluhr, ma anche in quella cantilena minacciosa di Spiel mit mir e nelle claustrofobiche RonsenrotStein um stein. Con un testo liberamente ispirato dal poema Wenn Mutti spät zur Arbeit geht che Till Lindemann ha pubblicato nella raccolta In stillen NächtenPuppe è il racconto di un bambino al quale la sorella, che lavora nella stanza accanto, ha regalato una bambola. Il piccolo deve aspettare in silenzio, con quella bambola tra le mani, mentre la sorella offre il suo corpo in cambio di denaro nella stanza accanto.

L’arrangiamento malinconico e innocente esplode nel ritornello, quando Lindemann grida come un invasato mentre decapita a morsi la sua bambola, forse per non sentire ciò che accade nell’altra stanza. Ritroviamo il cantastorie maledetto, il menestrello con le sue novelle ruvide e disturbanti. Was Ich liebe, ipnotica e cupa, ha un incedere lento e angosciante e racconta i tormenti dell’amore, quel sentimento in grado di creare e distruggere. Lo sottolineano le chitarre battute come incudini che si arrestano per il secondo cromatismo dell’album che troviamo nello special.

Diamant è ciò che il titolo suggerisce. La ballata dell’album per eccellenza, una Ohne dich che arriva in ritardo ma si fa perdonare, è una struggente canzone d’amore: lei è il suo diamante e i suoi occhi sono in grado di rapire l’anima. Le liriche di Lindemann si muovono con passione tra arpeggi e archi, in un’epicità che, anche in questo caso, fa dei Rammstein un elegante esempio di amore cavalleresco e arcaico.

Weit Weg si apre con un muro di tastiere, e quando prende quota si presenta con un brano pop. No, aspettate: stiamo parlando di un brano pop dei Rammstein, dove il beat è scandito dai flam di Schneider e la struttura ci conduce con i giusti tempi alla risalita verso la potenza che riscopriremo nelle prossime tracce. Per il momento, però, Weit Weg ci tiene ancora fermi e ci coccola con un testo crepuscolare in cui si alimenta tutta la vena poetica di Lindemann:

È di nuovo mezzanotte. Loro ci privano della luce del sole, perché fa sempre buio quando la luna bacia le stelle.

Ora siamo pronti a riscoprire Wollt Ihr das Bett in Flammen SehenDu HastLosLinks 2 3 4 in Tattoo. I riff stoppati e in muting aprono le danze, poi arriva Schneider e siamo di nuovo nelle martellate che Schneider ci schianta sulla testa con il suo rullante. È di nuovo tanz metal, sono sempre i Rammstein. Non manca l’ironia, quando Lindemann dice che si farà un tatuaggio con il suo nome e che, se dovessero lasciarsi, cercherà una donna con lo stesso nome.

Si fa sul serio fino alla fine, con HallomannApparentemente parla lo stesso seduttore di Sex, ma poi si scopriamo di leggere le parole di uno stupratore in fase di persuasione sulla sua vittima. Una batteria lenta, un arrangiamento teso che diventa disturbante con le strida “chitarrose” dello special – che ci ricordano le urla strazianti di Mein Teil – terminano con un’atmosfera onirica e l’apporto di un vocalizzo femminile. È l’undicesima e ultima traccia del nuovo album dei Rammstein, e quasi ci dispiace.

Se cercavamo l’epicità di un tempo, la troviamo. Se cercavamo l’industrial-techno di un tempo, lo troviamo. Se cercavamo le favole nere di un tempo, le troviamo. Il nuovo album dei Rammstein arriva 10 anni dopo l’ultima prova in studio, e ora capiamo perché. Non è come i precedenti, perché qualsiasi cosa fa il suo corso. Ciò che possiamo dire è che la loro sinusoide è fatta di un gruppo di brani al testosterone nelle prime tracce, poi di un atterraggio sul morbido e, infine, di una dignitosa ripresa.

I cromatismi di SexWas Ich liebe si collocano tra i tanti punti di coerenza del disco, oltre a rappresentare una novità in termini di composizione (ne avevano proposto uno in Rammlied e aveva ben sortito il suo effetto). Attuali, combattivi e provocatori, si accompagnano sempre con video epici – e aspettiamo con trepidazione i nuovi singoli – e musiche curate nel dettaglio. In ogni suono c’è un retroscena ora inquietante e ora intrigante, e se ci prendessimo il vizio di ascoltare la loro musica con le cuffie scopriremmo un mondo sotterraneo in ogni disco.

Il nuovo album dei Rammstein è un ritorno al sangue, al metallo, al muro chitarristico, alle storie disturbanti e alla follia, ma soprattutto ai tempi d’oro di una band che ha saputo farsi amare dal mondo nonostante la difficoltà di assimilazione che la lingua tedesca comporta.