Stanlio & Ollio, Steve Coogan e John C. Reilly ricreano l’arte della coppia comica più grande di sempre

Esce oggi il film di Jon S. Baird che racconta la tournée in Gran Bretagna del 1953 della coppia ormai in là con gli anni e in cerca di riscatto. Emerge il loro lato privato e il tono vira sulla malinconia. Bravi Coogan e Reilly, irresistibili quando ripropongono le storiche gag del duo.

Stanlio & Ollio

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C’è più malinconia che comicità in Stanlio & Ollio, il biopic che il regista Jon S. Baird (Filth, Vinyl) e lo sceneggiatore Jeff Pope (Philomena) hanno tratto dal libro di A.J. Marriot, Laurel & Hardy: The British Tours. È una impostazione voluta, dato che invece di concentrarsi sull’epoca d’oro della coppia, in auge dagli ultimi anni del muto (il 1927 è l’anno del primo corto insieme, Zuppa d’anatra) fino a tutta la Seconda guerra mondiale, il film racconta una pagina in chiaroscuro della loro carriera, il 1953, quando nella speranza di un nuovo film da girare in Gran Bretagna intrapresero una tournée inglese.

Stanlio & Ollio ha una sola fiammata dedicata agli anni del successo, attraverso un prologo ambientato nel 1937 stilisticamente sontuoso, girato in un piano sequenza di sei minuti, nel quale i due attori che li impersonano, Steve Coogan e John C. Reilly raggiungono il teatro di posa d’uno studio hollywoodiano (ricreato ai londinesi Pinewood Studios). Lì incontrano il loro storico produttore Hal Roach (Danny Huston), litigandoci per questioni di soldi. Il risultato è che Laurel, dei due il carattere più fumantino, sbatte la porta e se ne va, mentre il più mansueto Hardy finisce per accettare un nuovo film accanto a un altro partner. Un tradimento che 16 anni dopo, quando ritroviamo i due artisti invecchiati e non più sulla cresta dell’onda, Laurel non ha ancora digerito.

La prima e più intensa emozione di Stanlio & Ollio è legata ai due interpreti, che grazie alle protesi – soprattutto le ingombranti tute in poliuretano che ha dovuto indossare Reilly – e al meticoloso approccio mimetico, ricreano la gestualità dei due comici, riproponendo alcune celebri gag: il balletto de I fanciulli del West, eseguito in apertura, probabilmente per creare subito un’intesa con lo spettatore, o il numero di Ospedale di Contea (un corto del 1932), che i due ripropongono come numero sul palcoscenico.

Il celebre balletto de “I fanciulli del West” ricreato da Coogan (Stanlio) e Reilly (Ollio).

Il film ha meriti che vanno oltre il semplice calco imitativo. Fotografato nei colori d’un ocra autunnale inevitabilmente struggente, il viaggio in Inghilterra tra pensioncine e teatri di periferia, parla tanto di Stanlio e Ollio che di Laurel e Hardy. Grazie anche al controcanto offerto dalle due mogli – la rude e volitiva Ida Laurel (Nina Arianda) e la protettiva Lucille Hardy (Shirley Handerson) – dei due viene ricostruito un umanissimo dietro le quinte, con le ripicche, le incomprensioni, le tenerezze di una strana coppia il cui legame finì per essere più forte delle differenze, delle ferite e degli insuccessi patiti.

Il film non eccede nei toni melodrammatici o lacrimevoli sul tramonto dei grandi attori, anche se affiora la decadenza fisica e i problemi di salute soprattutto di Hardy. È fuor di dubbio, però, che la coppia funzioni ancora. I teatrini via via si riempiono e diventano teatroni da 2000 posti e tutto esaurito, anche a Londra. Ed è certo il valore senza tempo della singolarissima comicità a lenta combustione di Stanlio e Ollio, con quei gesti così caratteristici – lo sguardo in camera e le manipolazioni del cravattino di Hardy (il celebre Tie-Twiddle), la sbadataggine congenita e il modo di grattarsi i capelli di Laurel – che anche nella versione ricreata da Coogan e Reilly continuano a essere irresistibili, in virtù di movimenti e tempi comici calibratissimi (frutto della maniacalità di Stan Laurel, che fuori dal set lavorava instancabilmente alla creazione delle gag; quand’era lontano dagli studios invece Hardy preferiva dedicarsi al golf).

Oliver e Stan, i due uomini dietro la maschera comica.

È evidente la volontà di Baird e Pope di costruire un affettuoso tributo alla grandezza di Stanlio e Ollio. Così non mancano pagine sinceramente coinvolgenti, su tutte la festosa, spontanea accoglienza in Irlanda con le campane della chiesa che suonano la loro marcetta, The Cuckoo Song (un fatto realmente accaduto). E pur se il film cerca di scavare nel privato dei due uomini, resta però l’impressione di un film dall’impostazione eccessivamente rispettosa, in cui la commozione e la nostalgia fanno velo alla scavo analitico, finendo per sfiorare l’accademia.