I tristi aneddoti dei registi di Britney Spears sull’onda di #FreeBritney: “Donna controllata e fragile, cercava aiuto”

Il movimento #FreeBritney spinge prima David LaChapelle e poi Chez Lotfaï a parlare delle loro esperienze sul set con Britney Spears


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Da quando è stata ricoverata all’inizio di aprile in una struttura psichiatrica, i fan di Britney Spears hanno iniziato a pensare che la popstar non si fosse recata volontariamente in clinica per affrontare uno stress emotivo dettato dalle delicate condizioni di salute di suo padre – come ufficialmente dichiarato – ma fosse stata costretta a sottoporsi a nuove cure contro la sua volontà da parte della famiglia e in particolare proprio del padre, che è il suo curatore patrimoniale da oltre un decennio, dopo la depressione che la colpì nel 2007.

E a poco sono valse le parole della stessa cantante, in un video in cui ha cercato di rassicurare i fan chiedendo di non credere a tutto ciò che si scrive sulle sue condizioni di salute. La protesta contro il presunto ricovero coatto della popstar è sfociata in un movimento sui social, al grido di #FreeBritney, e in proteste fuori dalla clinica, prima che la cantante fosse dimessa e tornasse a casa col fidanzato.

Sull’onda emotiva di #FreeBritney, su Twitter è apparso il racconto del regista francese Chez Lotfaï, che ha ricordato di aver lavorato con la popstar di Toxic nel 2013 per la radio francese NRJ per promuovere il suo singolo Work Bitch e la sua prima residency a Las Vegas, Piece Of Me.

Secondo il suo aneddoto, quella che ha incontrato non era affatto una donna sicura e risolta, piuttosto una persona fragile ed estremamente controllata dalle sue guardie del corpo e dal suo management, al punto da non avere nemmeno la libertà di parlare col suo regista liberamente senza che altri ascoltassero.

Lotfaï ha descritto quell’incontro su Twitter con amarezza, spiegando di essersi sentito in difficoltà nel dirigere una persona già evidentemente eterodiretta e rimpiangendo di non aver risposto a quella che, ad oggi, ritiene potesse essere una richiesta d’aiuto da parte della popstar.

Ecco il suo racconto apparso in una serie di tweet, corredati da due foto che ritraggono il regista con la Spears durante il loro shooting.

Ho guidato Britney Spears a Londra anni fa. Ricordo ciò che ho provato in quel momento: tristezza, compassione e una terribile disponibilità a portarla via dai suoi responsabili. Queste riprese sono state un disastro emotivo per me. Ho dovuto dire a una persona già controllata cosa avrebbe dovuto fare, era così fragile. Da soli sullo schermo verde, ognuno dei nostri movimenti è stato analizzato dai suoi responsabili. Ricordo ancora il mio cuore spezzarsi quando provò a sussurrarmi qualcosa e improvvisamente la sua sicurezza apparve di fronte a noi: “C’è un problema?”. Britney ha risposto con una voce “timida” guardando a terra: “No, stiamo bene”. Era troppo stressata, si pizzicava nervosamente le dita. Non posso smettere di pensare che volesse dirmi qualcosa. L’unica cosa che avrei voluto fare in quel momento era tirarla fuori di lì… Invano. Tutte le mie preghiere sono per te, Britney. Non ho saputo aiutarti e mi dispiace.

L’aneddoto del regista francese arriva dopo le parole di David LaChapelle, che proprio di recente aveva risposto alle domande di alcuni utenti su Instagram in merito ai suoi lavori con la Spears. Dopo che è trapelata in rete una versione del video di Make Me molto controversa e mai rilasciata per volere della cantante, il regista ha precisato che ritrarre la cantante in una gabbia attorniata da uomini era stata un’idea della Spears e che oggi gli sembra una metafora della sua condizione.

Il video non è stato rilasciato perché a Britney non piaceva. La voce di un’artista deve essere rispettata. L’unica direttiva che Britney mi ha dato per questo video è stata filmarla in una gabbia. A quel tempo non capivo perché volesse essere filmata in una gabbia. All’inizio, ho pensato di filmarla come una tigre, ma ripensandoci sembra che volesse comunicare che era in prigione. Con tutti i membri del mio team abbiamo notato che qualcosa non andava…

Le stesse considerazioni valgono per un altro video, quello di Everytime.

Per il video ‘Everytime’, l’unica direttiva che Britney mi ha dato è che voleva morire nel video. Ripensandoci ora, mi sembra che tutto questo fossero delle urla di aiuto, che voleva comunicare attraverso i suoi video. Conosco Britney da quando aveva 17 anni. Ho fotografato la sua prima copertina, per Rolling Stone. È stata realizzata in Louisiana, a casa della sua famiglia, piena dei suoi trofei di bellezza. Potrei dire, anche allora, che qualcosa non andava. Contro avidità e bugie.