Lo speaker in radio buono per tutti e quello che è ‘uno di noi’

Il mondo della radio si è strutturato professionalmente nei decenni ma seguita ad avere dei profili ben chiari per chi ascolta.


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Chi è solito ascoltare la radio, e magari cercare in lungo e in largo sulla modulazione di frequenza qualche stazione a cui prestare ascolto, avrà ben presente come vi siano due grandi categorie di emittenti: quelle in cui gli speaker parlano un italiano senza inflessioni, hanno la voce “radiofonica”, i ritmi giusti, lo stile disinvolto e misurato di chi sa di poter entrare nelle case di tutti; e quelle in cui gli speaker parlano come se stessero fra amici, spesso con accento e cadenza dialettale (in qualche caso anche un po’ trucida), ragionando intorno a questioni che sembrano interessanti solo per un gruppo molto ristretto di persone. Non faceva effetto negli anni Settanta e Ottanta – quelli delle prime radio libere – sentire conduttori dallo stile “naìf”, che sembravano prestati occasionalmente alla radio e risultavano comunque ben lontani dagli standard dei professionisti. Fa molto più effetto sentirli oggi, dopo che il settore radiofonico, in quarant’anni di esperienze, di investimenti e di affinamento del rapporto tra i conduttori e i loro microfoni, è divenuto più strutturato e professionale di quanto fosse un tempo.

Alcune di queste radio dall’assetto informale hanno come ragion d’essere la fede calcistica, e organizzano la loro programmazione intorno ai commenti degli opinionisti e a tutto ciò che la tifoseria di quella o di quell’altra squadra riesce a contestare, esaltare, sentenziare sulle partite che si sono fatte e su quelle future. Altre hanno come matrice l’impegno politico, e vivono di rassegne stampa, testimonianze, spazi di riflessione gestiti da attivisti prestati alla radio e che in essa portano gli stessi modi verbosi e un po’ petulanti che potrebbero avere nel circolo di quartiere o in casa di amici. Altre ancora si configurano come piccole tribune della vita quotidiana, e annoverano un pubblico di ascoltatori affezionati, che attraverso la radio mandano auguri e messaggi alla stretta cerchia di compari e parenti che vivono nel rione e che anche senza radio, direttamente in strada, sarebbe possibile contattare. Insomma, nel mondo della radio si oscilla in modo impressionante tra lo stile “mainstream” da una parte e lo stile “casareccio” dall’altra.

Tuttavia, il panorama questo offre, e le teorie sui media forse aiutano a comprendere il fenomeno. Esiste infatti un modo di classificare le radio legato al ruolo che queste svolgono rispetto al proprio pubblico. Alcuni saggi sulle comunicazioni descrivono per la radio tre principali funzioni: quella “connettiva”, quella “partecipativa” e quella “identitaria”. La funzione connettiva punta a fornire all’ascoltatore una rappresentazione della società nel suo insieme, miscelando informazione e intrattenimento e portando all’attenzione del pubblico gli argomenti che si ritengono più significativi, con una rosa di opinioni su tematiche d’interesse generale. La funzione partecipativa è quella che soddisfa il bisogno, presente in molti ascoltatori, di essere parte attiva nella trasmissione radiofonica con la possibilità di intervenire in diretta, raccontare un’esperienza, richiedere un disco o esprimere un parere. La funzione identitaria, infine, è quella che consente alla radio di aggregare intorno a sé persone che hanno gli stessi gusti, uno stile di vita simile, gli stessi riferimenti culturali e sociali, e che grazie al mezzo radiofonico possono creare una sorta di “comunità”. L’obiettivo di alcune emittenti radiofoniche non sembra quello di ampliare il proprio pubblico: le radio che puntano sulla funzione identitaria non cercano un alto indice d’ascolto ma, al contrario, un pubblico ristretto che senta però di essere parte integrante dell’emittente stessa e di poterle in qualche modo somigliare. Se i network più seguiti lavorano per aggregare un pubblico trasversale, poco interessato a far emergere i propri elementi distintivi (uno dei network nazionali con i maggiori indici di ascolto, RTL, ha scelto lo slogan “very normal people”), all’opposto, un cospicuo numero di network non soltanto si disinteressa dei grandi numeri ma “seleziona” il proprio pubblico attuando una programmazione mirata su argomenti specifici e scegliendo conduttori palesemente di parte. Se non avesse quella cadenza dialettale, quel linguaggio informale, quel tratto genuino e quell’attaccamento pervicace alle stesse tematiche, il conduttore di un’emittente identitaria non verrebbe percepito come credibile. E non verrebbe riconosciuto dal gruppo degli ascoltatori come “uno di noi”, una credenziale questa che, in certi ambienti, vale più di ogni altra.