Ghali: parabola di un trapper che abbandona l’autarchia per il mainstream

Tra i trapper è il solo a starmi simpatico. Mi auguro che sia una caduta momentanea e che presto torni a brillare: la sua storia di riscatto rincuora in un'epoca cupa come questa.


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C’è questa faccenda di Ghali.

Faccenda che, tocca capirlo, potrebbe non riguardare solo Ghali.

Ci si augura.

In sostanza la parabola di Ghali la conoscete tutti. Ghali è una delle trapstar più splendenti del nostro panorama. Viene da Baggio, quartiere periferico milanese, e si è fatto strada a suon di brani grazie al passaparola tra gli appassionati del genere tutto autotune e metrica sghemba. Alla produzione Charlie Charles, lo stesso dietro al successo di Sfera Ebbasta, che di Ghali è stato a lungo considerato competitor. L’uno, Ghali, un filo più impegnato, con questa faccenda della seconda generazione di migranti, della mamma spiattellata nei testi, di un’idea del nostro paese e del mondo comunque positiva, speranzosa, l’altro più duro, nichilista, fra sciroppi e mugugni.

Sia come sia Ghali arriva zitto zitto, si fa per dire, primo in classifica, quando ancora le radio non si sono accorte di lui. Dimostrando, ce ne fosse bisogno, che questa nuova generazione di artisti non necessita delle radio. Dei media tradizionali in genere, a dirla tutta, perché neanche la tv si è accorta di lui, e neanche i giornali. L’album svetta in classifica, lui diventa un nome che attira attenzione. Finisce nello spot di un noto operatore telefonico, con un pezzo di canzone che parla proprio di integrazione, di seconde generazioni, insomma, una sorta di concentrato di quella che è, o potrebbe essere, o dovrebbe essere, la sua poetica. Meno nichilismo e più speranze, ripeto.

Bei numeri.

Ottimi numeri.

Prima di Sfera, che però poi ne fa di migliori. Ma stiamo parlando della competizione tra i due giganti del genere. Toh, diciamo due dei tre giganti, perché c’è anche Capo Plaza, che di numeri ne fa altrettanti, forse anche più di Ghali, senza finire mai intercettato dai media, neanche dopo essere arrivato a sua volta lassù.

Ma stiamo parlando di Ghali.

Diventa una star.

I media un po’ se lo filano, ma limitatamente, perché lui non ne ha bisogno, e perché in tutti i casi i media tradizionali si rivolgono ai più vecchi.

Firma con il colosso dei live, per una cifra, dicono, di circa due milioni di euro.

Tanta roba.

Tantissima roba.

Parte il tour. Che a Milano, casa sua, fa il sold out. Forum pieno. Bello spettacolo. Vestiti di Gucci.

Nel resto d’Italia meno.

Cioè sempre vestiti di Gucci.

Ma niente sold out.

Decisamente meno gente.

Ma Ghali è Ghali. Una trapstar.

La sola insieme a Sfera Ebbasta e Capo Plaza.

Infatti nel mentre è arrivata un’altra proposta, vuole la leggenda ancora superiore a quella per il tour. Ghali firma con la WEA per i prossimi dischi, si accasa con una major.

Dopo la fama, partita dal basso, dal passaparola, anche i soldi. Finalmente.

In mezzo a tutto questo un piccolo segnale poco calcolato da tutti, Ghali tira fuori un brano con Sfera Ebbasta, che in realtà è una canzone del loro produttore, il re Mida Charlie Charles, dietro anche al successo di Mahmood a Sanremo e in questi giorni al primo posto in classifica di Rkomi.

La canzone non ha il successo che si sarebbe potuto pensare, visti i nomi coinvolti. Ma magari la gente è distratta. C’è una proposta così variegata, caspita.

Adesso però Ghali torna in scena ufficialmente, in prima persona. E lo fa alla sua maniera, presentando il suo brano nuovo, I Love You, a San Vittore, tra i carcerati. Lui, ricordiamolo, è quello impegnato dei trapper. Quello conscious.

La faccenda di San Vittore viene gestita, come comunicazione, da uno degli uffici stampa più potenti, recentemente un po’ appannato, la Goigest di Dalia Gaberscik. E essendo gestito da Goigest viene dato modo di raccontarlo solo ai soliti amichetti della carta stampata, con una visione un filo passatista. Ma va bene così, Ghali ambisce a quel mainstream, sembra, anche ascoltando la canzone. Canzone, per intendersi, che è una sorta di Stromae in chiave Baggio, carina, intendiamoci, a che non ti fa gridare al miracolo, non ti fa gridare al capolavoro. Non ti fa gridare e basta, lascia il tempo che trova.

Ghali si trova a presentarla a bordo campo a San Siro, calzoni corti di Gucci, durante il derby della Madonnina. Tanta roba, si direbbe.

Dopo San Vittore San Siro, si tirano in mezzo i santi, ci sarà un motivo.

Tutto bene, verrebbe da dire.

Non fosse che arrivano anche le classifiche. E per dirla con Salmo: male male.

Sì, perché è vero che a chi si occupa di critica non dovrebbe guardare ai numeri delle vendite, perché spesso, non dico sempre ma spesso, molto spesso, la quantità non coincide con la qualità. Ma anche i numeri hanno un peso, nelle storie discografiche. Un peso rilevante. E se tu che sei un giovane artista in ascesa opti per poppizzarti, guardando a un pop colto come a quello di Stromae, intendiamoci, ma quindi provando a fare l’occhiolino a un pubblico più ampio, poi esci con grande spolvero e fanfare e finisci la prima settimana al decimo posto, e poi scivoli al ventisettesimo, beh, allora Houston abbiamo un problema. Anche perché nel mentre il tuo competitor diretto, Sfera Ebbasta, che sta passando un periodo ancora peggiore, con tutte le polemiche del caso, The Voice che salta, i concerti che non vendono un biglietto in prevendita neanche dopo la trovatella dei biglietti gratis per i genitori, beh, nel mentre il competitor diretto, Sfera Ebbasta, finisce in alto, al secondo posto, con un brano come Madamoiselle, che neanche è un singolo tradizionale, nel senso che non è destinato alle radio o ai media, beh, allora Houston abbiamo un problema serissimo.

La stella di Ghali, al momento, è appannata, come il suo ufficio stampa, che nel mentre ha perso pezzi importanti alla velocità di un meteorite che sta per devastare il pianeta terra in un film catastrofista.

Forse è appannata anche in virtù dell’aver optato per troppe scelte generaliste, a partire proprio da un ufficio stampa che si rivolge ai quotidianisti e snobba i siti e tutti gli altri, inconsapevole che oggi i quotidianisti contano davvero nulla, per non dirla più alla trapper, un cazzo.

Siccome Ghali mi sta simpatico, e tra i trapper è forse il solo a starmi simpatico, mi auguro che sia una caduta momentanea e che presto torni a brillare. Non fosse altro perché una bella storia di riscatto rincuora in un’epoca cupa come questa.

Il consiglio, non richiesto, è di tornare a guardare a Baggio più che al centro, perché l’autarchia gli ha portato molto meglio del mainstream, in termini di ispirazione e sembra anche di feedback.