Donne sottomesse, violentate, uccise, discriminate e sottopagate. E io sogno ancora di poter cambiare il mondo a colpi di canzone

Della condizione della donna oggi mi addolorano molte cose, congressi delle famiglie, sentenze di tribunale, femminicidi, tempeste emotive e mancanza di canzoni che dicano qualcosa.


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Quando più di trenta anni fa cominciai, insieme a mia sorella Joanna, a scrivere canzoni dedicate alle donne, eravamo piene di entusiasmo, di speranza, probabilmente ingenue come tutti gli adolescenti che pensano di poter cambiare il mondo. Cantavamo “The times they are a changin” sulla voce di Bob Dylan, o traducevamo i testi  di Joan Baez e Joni Mitchell, le nostre muse ispiratrici d’oltreoceano. Anche per le donne i tempi stavano cambiando, pensavamo che lottando non avremmo più sentito parlare di donne sottomesse, violentate, impossibilitate a decidere la vita che sognavano, discriminate e sottopagate nei posti di lavoro faticosamente conquistati, con scarse possibilità di carriera e spesso sottoposte a molestie da parte dei datori dei lavori. I tempi stavano cambiando e noi pensavamo di dare il nostro piccolo contributo, scrivendo per la prima volta in Italia canzoni scritte da donne per le donne, canzoni che facevano arricciare il naso a qualcuno, che non sarebbero mai passate in radio ma che il discografico Vincenzo Micocci, invece, ascoltava  con attenzione e interesse al punto da spingermi a registrare il primo album “Cliché”. Dentro c’era il tema dell’aborto, della omosessualità, il cliché dell’uomo superficiale, la condizione femminile. In un tempo in cui passavano in radio canzoni tipo “ Sono una donna non sono una santa”, eravamo convinte di invertire una rotta con le canzoni.

Il primo gruppo “Ape di vetro” formato da me, Chiara Scotti e Lella Lamorgese, rimediava a stento piccole feste di paese con palcoscenici improvvisati, a volte ci esibivamo su cassette di frutta vuote accatastate, dove collezionavamo fischi e inviti a spogliarci,  se poi andava bene tornavamo a casa con un rimborso spese, ma eravamo toste e motivate. Noi e le donne della mia generazione credevamo fosse possibile portare avanti una nuova visione della vita, ognuna con i mezzi di cui disponeva. Io, cantautrice, ho cercato di farlo con la Musica, ogni volta che ho potuto. E adesso? Cosa cantano le donne, le giovani donne? Sento che dietro un linguaggio fintamente trasgressivo, si ripropone lo stereotipo della donna disposta a tutto pur di avere l’uomo dei sogni. Ieri ho ascoltato un brano in radio in cui lei supplicava un lui  ripetendo “Umiliami!”, senza parlare delle puttane, troie etc…prime in classifica.

E allora non mi stupisce vedere tante donne al Congresso della peggiore idea possibile della società. Non mi stupisce ma mi addolora sentire donne dire ad altre donne che se non faranno figli moriranno di cancro e altre idiozie simili. Mi addolora vedere tra i vari gadget del congresso mondiale delle famiglie, un feto di gomma con tanto di cartellino colpevolizzante (come se ogni donna abortisse con allegria), e mi addolora vedere politici metterci la faccia. Mi addolora sentire un giudice  dire che la ragazza stuprata “poteva chiudere le gambe” e un altro giudice donna sentenziare che “poiché la vittima sembra un maschio,  non si può parlare di stupro”. E mi addolora il femminicidio perpetrato ad oltranza con gli sconti di pena per l’assassino “in preda a tempesta emotiva perché lei lo tradiva” o perché incensurato.

Io mi ritrovo trenta anni dopo a scrivere di nuovo canzoni che parlano di donne, storie di sconfitte, di dolore, di donne alle prese con la vita difficile dei nostri giorni. Nel disco e nello spettacolo “Sante Bambole Puttane” racconto Irina, Amina, Lora, Anja, Zelda, perché questo mondo che gira su se stesso,  forse sta tornando al punto di partenza. O perché credo ancora di poterlo cambiare a colpi di canzone.