Il mistero del Rap: perchè piace anche alle generazioni meno giovani?

Ad una disamina più approfondita sul fenomeno e la sua generale accettazione, emergono numerose analogie con linguaggi molto più antichi.


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Il nostro mercato musicale è ancora orientato, in gran parte, verso i generi pop e melodico. Il successo di artisti come Laura Pausini, Alessandra Amoroso, Biagio Antonacci, Gigi D’Alessio e tanti altri dipende dalla loro attitudine romantica, che incontra la sensibilità di un pubblico ampio, comprendente persone di ogni età cresciute nella tradizione della “canzone italiana”. In questo scenario di musica “tradizionale” si è improvvisamente affermato, oltre vent’anni fa, il fenomeno del “rap”, quel genere di musica parlata, con un taglio spesso intimistico o di denuncia sociale, che alla melodia sostituisce un fluire ininterrotto di frasi vincolate ad una metrica precisa scandita dalla base ritmica.

Qualcosa di molto lontano dal gusto tradizionale, dunque, ma capace di farsi accettare – ora con maggiore ora con minore entusiasmo in rapporto anche al talento e all’originalità degli artisti – da un pubblico molto ampio, quello stesso pubblico che segue il pop melodico, che ascolta la radio, vede la televisione, guarda i talent show.

La ragione di questa strana familiarità che scopriamo di avere con un genere musicale così diverso da quello a cui siamo stati abituati potrebbe derivare, in parte, dai meccanismi profondi che legano l’espressione verbale al suono musicale.

La poesia, in effetti, è un’arte che ricerca l’armonia e il giusto suono all’interno delle parole e nella loro combinazione, rivelando come queste abbiano un potenziale melodico intrinseco e spiegando come l’ascolto di un testo poetico possa essere percepito dall’orecchio, anche del pubblico comune, come un’esperienza in qualche modo musicale. Un filone di ricerca nel campo della musicologia, poi, vede nel rap una derivazione della parte recitativa del teatro operistico, e questo sarebbe il motivo per il quale anche le generazioni meno giovani avvertono in questo stile musicale parlato qualcosa di familiare. Ma la ragione più profonda di questa connessione tra il recitativo e la musica va forse cercata nell’idea – sviluppata nell’ambito dell’antropologia musicale – che la lingua parlata derivi da forme espressive primitive nelle quali le parole venivano pronunciate in forma di cantilena o con particolari modulazioni della voce proprio per enfatizzarle o per favorirne la comprensione. I bambini stessi, del resto, prima di imparare a parlare la lingua in modo “canonico”, indugiano sulle sillabe con fare ritmico e ripetitivo, e pronunciano le parole con modulazioni che suonano all’orecchio come delle nenie primordiali, insomma mescolano spontaneamente il canto con il parlato.

Se le generazioni meno giovani riescono ad accettare il rap, dunque, non è detto che lo facciano perché conservano uno spirito curioso o perché sono particolarmente aperte alle novità discografiche, ma piuttosto perché magari questo stile risulta inopinatamente vicino a quelle combinazioni di parole e suoni che fanno parte di un corredo naturale, del nostro imparare a parlare, di una modalità comunicativa antica quanto l’uomo.