Il 20 marzo Chester Bennington avrebbe compiuto 43 anni. La voce dei Linkin Park aveva dato voce al suo dolore fino all’ultimo, anche in quel triste giorno in cui si celebrarono i funerali dell’amico e collega Chris Cornell. Chester cantò Hallelujah di Leonard Cohen nella versione di Jeff Buckley e in più riprese qualcosa strozzava il suo fiato, ma l’amore per il suo amico era troppo grande per demordere e non proseguire. Poche settimane dopo le forze di Chester lo abbandonarono per sempre e lo portarono a togliersi la vita il 20 luglio 2017. Era il compleanno di Chris Cornell.
Capace di modulare la voce passando da un taglio dolcissimo a un graffiato violento, Chester Bennington insieme ai Linkin Park diede una speranza a chi, tra le correnti musicali che nascevano negli anni 2000, non vedeva uno spazio adatto per il rock e il metal. Come ogni decade, le nuove influenze musicali che passavano per i principali canali mainstream avevano gettato nello sconforto il pubblico amante dell’headbanging, delle chitarre distorte e del pogo, e Bennington aveva consolato tutti da quando Papercut dei Linkin Park ci incantò grazie a quella frase: «Beneath my skin», intonata su una quinta con potenza e intensità.
Qualcosa stava cambiando, e Chester Bennington avrebbe compiuto 43 anni ricordando anche quell’esordio che lo consacrò a nuovo portavoce del nu metal, genere ibrido di cui Fred Durst dei Limp Bizkit e Jonathan Davis dei Korn erano già maestri. Se i Limp Bizkit si collocavano nella facciata più “street” della nuova veste del metal e se i Korn coloravano di sangue e cinema horror la stessa corrente, i Linkin Park coniugavano le due cose offrendo un nuovo menu a chi si alzava da tavola ancora affamato. Arrivò In the end, arrivò One step closer e fu amore: Chester sapeva fucilarti e accarezzarti, e i suoi occhi chiusi con le vene in evidenza erano il momento più alto delle sue esibizioni live, quando con tutta la sua voce gridava la sua rabbia e sfogava il suo dolore.
Egli stesso si metteva a nudo in From the inside, forse il brano più intimista insieme a Breaking the habit dei Linkin Park. «Pensieri pesanti si fanno avanti tra la confusione e le bugie», cantava Chester in quella canzone che sembrava un foglio strappato dai suoi appunti mentali: «Tutti si sentono così lontani da me», continuava, per poi alzarsi di scatto dalla sedia e uscire allo scoperto: «Prendo tutto dal mio interno e lo getto fuori, perché giuro per l’ultima volta che non mi fiderò di te, non mi sprecherò con te». Non sapremo mai, forse, se l’oggetto dell’invettiva di Bennington fosse qualcuno o qualcosa, ma è chiaro che questo qualcuno o qualcosa lo stesse tormentando.
Probabilmente egli stesso ci metterebbe le mani al collo dal momento in cui siamo qui a cercare di psicanalizzarlo. Non ne ha bisogno, non più. Chester Bennington avrebbe compiuto 43 anni e sarebbe stata una sua scelta, come quella di partecipare al progetto di Mark Morton con la sua stessa voce, per risorgere tutte le volte in cui lo desideriamo.