La semplicità è un tè caldo accompagnato da biscotti “homemade”, una finestra che dà sulla città e un cesto di frutta al centro di una tavola, ma anche uno stereo che inonda la cucina con le note di “Viva Da Morire” di Paola Turci. La sua effige compare sul riflesso di quella bevanda calda e confortevole, di prima mattina, e la sua voce accarezza il risveglio per offrire una dolce motivazione, sempre necessaria per iniziare la giornata. Ascoltare il nuovo disco della cantante di Questione di sguardi e Una sgommata e via equivale a dare il benvenuto a un nuovo calore, dispensato da 10 tracce intense, sincere e guarnite con eleganza.
Sì, perché Paola Turci è la donna, l’eleganza della musica leggera italiana e lo stato delle cose ritrovate con piacere. Due anni dopo “Il secondo cuore” (2017) Paola è di nuovo qui, e con trasporto ha calcato il palco di Sanremo con L’ultimo ostacolo, il brano scelto per aprire il disco. Di nuovo qui e di nuovo con Luca Chiaravalli, suo produttore anche per “Il secondo cuore” e collaboratore di Francesco Gabbani, Nek e anche degli Hooverphonic sul piano internazionale.
Dieci tracce, si diceva, per le quali la cantautrice romana si è messa nei panni dell’interprete delegando alla scrittura dei testi quel Davide Simonetta – ex Karnea ed ex Caponord – che già abbiamo incontrato tra gli autori dell’album “Popcorn” di Federica Carta, quell’Andrea Bonomo che scrive anche per Eros Ramazzotti, Emma Marrone e Giuliano Palma, quella Federica Abbate alla quale dobbiamo il successo di Roma-Bangkok interpretata da Giusy Ferreri e Baby K e quel Fabio Ilacqua che ha scritto per Francesco Renga, Marco Mengoni e Loredana Bertè.
Giulia Ananìa, infine, è autrice del brano Voglia di ricominciare, ispirato dal libro Io ci sono di Lucia Annibali, vittima di un’aggressione con l’acido che ha deciso di raccontare la sua orribile vicenda. Paola Turci aveva letto quel libro e aveva chiesto all’autrice di scrivere un testo che trattasse l’argomento della rinascita. Così è stato e così sarà.
L’ultimo ostacolo è la fotografia dell’assenza. Aprire un disco, un brano, un discorso con le note di un pianoforte può essere azzardato, tranne quando un sentimento fortissimo diventa il direttore d’orchestra: Paola guarda negli occhi suo padre, anche se oggi riposa in un mondo certamente più in pace di questo, e cattura i suoi ultimi istanti di vita mentre lo stringe a sé. Lo ha dichiarato a Sorrisi e canzoni: «L’ultimo respiro della sua vita lo ha fatto davanti a me». A questo triste ricordo dobbiamo le parole: «Fermati, ché non è l’ora dei saluti», le prime della canzone.
La soave e poetica L’ultimo ostacolo cede il posto a Le Olimpiadi tutti i giorni in un featuring con Shade, lo stesso che ha accompagnato Federica Carta a Sanremo per il brano Senza farlo apposta e qui nel ruolo di una sorta di personal trainer del ritmo. Le Olimpiadi tutti i giorni, infatti, è un brano che si appoggia sulla metafora dello sport come filosofia di vita e come chiave di lettura del percorso esistenziale: «Capire che non c’è una meta proprio all’ultimo metro, rinunciare a tutta una vita per riaverne un’altra indietro». L’arrangiamento disegna un brano ballabile e pieno di groove. Ancora ritmo, poi, per la title-track: Viva da morire di Paola Turci è l’inno alla ritrovata forza, un manifesto elettropop dal titolo ossimorico scritto dal rapper Pula+ che vanta collaborazioni con Fabri Fibra. Il testo è la ricetta per ritrovare la serotonina: «Ho troppi sogni per andarmene a dormire» e tutto, nel brano, scorre come una corsa vivace e adrenalinica. La voce di Paola Turci è sovraincisa per forgiare bicordi di quinta, un linguaggio musicale che funziona come un evidenziatore per illuminare al meglio la positività di cui le parole si fanno messaggere.
Ci si riposa, poi, con Prima di saltare. La soluzione musicale, qui, è un soul modesto che strizza l’occhio alla bellissima Right to be wrong di Joss Stone. Un organo, una batteria in shuffle e un testo sobrio e diretto dipingono quello stato emozionale di chi, per la prima volta nella vita, ha deciso di alzare il capo e riprendere in mano i suoi giorni. Il momento del salto si fa onomatopeico quando si chiude il ritornello: «La forza di gravità è una forma d’amore, ma a me non sembra un errore volere volare, questa volta partire è un po’ come tornare, non prendo la rincorsa prima di saltare». Un punto, qui, è necessario, perché dopo l’ultima parola le percussioni si fermano e noi che ascoltiamo lasciamo la terra per abbracciare l’aria. Siamo in mezzo all’ossigeno più puro, e quando torneremo al suolo ci ritroveremo in piedi.
Se cerchiamo una testimonianza sul potere della resilienza troviamole parole giuste ne L’arte di ricominciare: parole piene di candore e conforto, pop positivo ed empatia costruiscono un brano decisamente al di sopra di tutta la tracklist. Il concetto si racchiude in una frase: «Un fiore che rompe la terra». La rinascita diventa la “rivoluzione naturale”, quella forza che detiene il potere di scavare la roccia, quando tagli e ferite diventano armi potenti e solidissimi appigli per sollevarsi e riconquistare.
Non ho mai capovolge il significato dell’atto di dire “no”. Ogni negazione, qui, è tagliata fuori: «Mi piace dire “no” quando sto bene dentro, quando non mi trattengo», e il canto di Paola vive su una base elettronica al confine con la ballad, ma siamo di fronte a un pezzo celebrativo e per niente malinconico, e la celebrazione diventa uno stato di adorazione con Molto di più. Il fortunato destinatario di uno dei brani più interessanti di “Viva Da Morire” di Paola Turci riceve parole piene di significato: lui è molto di più di un’ambizione, di Roma con la neve, di frasi ormai obsolete, delle biciclette che corrono verso il mare. La posizione di chi accoglie la dedica piena d’amore della cantautrice è talmente elevata che la donna si interroga sul fatto di meritare o meno tutto quello splendore.
La vita copiata in bella è una canzone da stadio: un’intro in maggiore si sposta sulla quarta e torna indietro, poi si rilassa quando arriva il canto. Il testo dipinge il monto, e la voce di Paola Turci è il pennello che diluisce su tela concetti che altrimenti sarebbero troppo forti e troppo diretti: «Avevamo bisogno di sbagli, di cattivi maestri, quando gli occhi chiusi sembrano aperti. Tutto è nostro e niente ci appartiene». C’è una rivoluzione in atto, anche quando questa tace, e nel mondo di Paola è necessario parlare “piano” del futuro, è necessario pesare le parole e non ostentare un’onestà solamente perché si tratta di un ottimo vocabolo. Saggia come una sorella maggiore, la cantautrice romana ci accompagna in un possibile mondo di pace e fratellanza.
Possiamo prendere la Delorean e tornare indietro, adesso, mentre ascoltiamo Io l’amore no. Ritroviamo Paola Turci adolescente mentre passeggia per Campo de’ Fiori con Patti Smith nelle cuffie, o lungo i Fori Imperiali a bordo della sua Vespa, ma la curiosità dell’età più bella si arresta quando un nuovo amore bussa alla sua porta: è incapace, ancora, di dividere la sua vita con qualcuno. Paola si racconta in terza persona e ogni strofa è un capitolo importante del lungo cammino verso la maturità. L’arrangiamento ha dinamiche pacate, con percussioni elettroniche e cori, e il risultato è un background posato e gentile, ma anche intenso come tutte le produzioni di Paola Turci.
Piccola chiude il disco. Una prima spiegazione arriva dalla diretta interessata, che ai microfoni dell’Adnkronos si descrive come una donna che si è sentita sempre piccola di statura, ma anche rispetto alla vita e all’universo. Una ballad dolce, straziante e intensa, con un’intro eseguita al pianoforte e un incipit che va dritto al punto: «Quante pareti mi hanno visto urlare, quanti telefoni attaccati male». Ma no, non è tutto. Paola ricorda suo padre e gli rende omaggio, con quell’ingenuità che i bambini traducono in capricci quando qualcosa non va o finisce: «Pretendo le tue scuse, non si va via così, senza salutare, perché sono piccola in questo mondo di grandi, dove tutti sanno cosa fare, io nemmeno trovarti». Paola canta seduta sulle scale, su quei gradini nei quali giocava quando era bambina, ma era un pretesto per attendere l’arrivo di suo padre.
Ora un rumore fende il silenzio che rimane dopo aver terminato l’ascolto del disco: è una goccia di sentimento, una lacrima che affonda nel tè caldo della nostra colazione. È Paola, proprio lei, che poco prima sedeva di fronte a noi per accompagnarci nell’ascolto di questo disco intenso, intimista e “bello”, perché l’eleganza è bellezza. Il tempo di indugiare è finito, e nonostante la straziante dedica dell’ultima traccia “Viva Da Morire” di Paola Turci è un contenitore di positività e resistenza, un invito a guardare verso il cielo e a non trattenersi più, a saltare verso l’aria per riprendere il proprio ossigeno e il proprio mondo.