Sanremo è ufficialmente un Festival Scacciafiga, dai cantanti fino a chi decide

Nella sbornia di canzoni, premi e polemiche siamo in pochi a sparare un razzo di allarme. A Sanremo scarseggia la componente femminile ed è gravissimo.


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In Italia abbiamo un serio problema col femminile.

E anche un serio problema nel saper identificare il cuore dei problemi.

Mi occupo di musica, quindi provo a analizzare il problema del femminile in questo ambito.

E parto da una delle notizie più chiacchierate degli ultimi giorni. Lo sapete tutti, Francesco Renga ha fatto al DopoFestival di Sanremo alcune dichiarazioni che hanno indignato la comunità musicale, e non solo. Si è subito scusato, ma come spesso capita di questi tempi, le scuse non bastano, occorre il sangue.

Cosa ha detto? Suppergiù che a Sanremo c’erano più uomini che donne, e più in generale che nella musica ci sono più uomini che donne perché le voci delle donne sono meno gradevoli di quelle degli uomini. Capita la gaffe ha anche cercato di spiegare la cosa da un punto di vista scientifico, ma erano tipo le due e mezzo di notte, nella settimana del Festival, la cosa non gli è riuscita benissimo.

Ecco. Questo col problema che abbiamo in Italia con femminile in musica non c’entra un cazzo.

C’entra invece la domanda che questa risposta ingenua e magari anche sbagliata ha generato. Siamo al DopoFestival, lo ricordo, e tra gli ospiti c’è anche Claudio Baglioni. La collega Marinella Venegoni, unica in questo Festival a aver mosso domande intelligenti, chiede conto a Baglioni dell’assenza imbarazzante di donne tra i concorrenti. Baglioni risponde da bravo democristiano, dicendo che ci sono poche donne in gara perché poche donne hanno mandato canzoni. La faccenda, dal suo punto di vista poteva fermarsi qui. Poi Renga ha fatto il resto, spostando l’attenzione su di sé, invece che sul femminile.

Ora, non voglio fare quello che fa “ve l’avevo detto”. Ma anche stavolta, come nel caso del conflitto di interessi, ripreso anch’esso dalla sola Marinella Venegoni, parlo di colleghi che si occupano di musica nella carta stampata, è andata così.

L’anno scorso, a fronte di quarantaquattro artisti complessivi che hanno calcato le assi dell’Ariston come BIG, parlo dei solisti, dei duetti, dei terzetti e anche delle band, solo quattro erano donne. Quattro su quarantaquattro. Quest’anno va meglio, sei su una quarantina. Il tutto in un contesto che, su sessantanove edizioni, non ha mai visto una donna vestire i panni del direttore artistico, cioè non ha mai visto una donna scegliere le canzoni in gara (quest’anno, come l’anno scorso, non ce n’era neanche una nella commissione di Baglioni) e ha visto pochissime donne condurre, sempre senza possibilità di un BIS, si trattasse della Carrà o della Venura, passando per la Clerici. Quasi peggio che nel resto della società, si fa per dire.

L’anno scorso, sbagliando probabilmente mira, ho lanciato l’hashtag #LaFigaLaPortoIo, invitando le donne della canzone italiana a protestare in stile Femen sui social durante i giorni del Festival. Volevo essere urticante, disturbare, e sostanzialmente invitavo le donne che nella musica sono protagoniste a protestare mettendo in campo la propria femminilità esposta, ben sapendo che sarebbe stata una provocazione, né più né meno che l’hashtag, ma sicuro che avrebbe quantomeno acceso un riflettore sul problema. Hanno aderito una trentina di cantautrici, ma quasi tutte della scena indipendente, perché quelle pop hanno sostanzialmente avuto paura di essere scambiate per rosicone, cioè come di chi protesta perché escluso.

Quest’anno ho deciso di spostare la mira. E credo di averci preso. Sempre continuando per tempo a protestare per questa clamorosa defaillance nel costruire il cast, ho deciso di portare in prima persona, anche con il contributo di OptiMagazine che ha subito appoggiato la mia iniziativa, la musica al femminile a Sanremo.

Ho così organizzato il Festivalino di Anatomia Femminile a Sanremo.

Da due anni, infatti, sui miei social ho ospitato il Festivalino di Anatomia Femminile, lasciando che all’ora dell’aperitivo il mio profilo pubblico diventasse un palcoscenico dove esibirsi con una canzone dal vivo. Il tutto in video. Due edizioni con duecentoquaranta cantautrici, in maniera del tutto autarchica hanno calcato quel palco. Praticamente le migliori artiste al femminile, dalle indipendenti a quelle mainstream, si sono trovate a calcare quel palco virtuale.

Poi a settembre venti di quelle cantautrici hanno calcato il palco del MEI, a Faenza, in una prima volta “fisica” del Festivalino di Anatomia Femminile.

A Sanremo, in una settimana in cui la città è letteralmente invasa da eventi di ogni tipo, siamo riusciti a compiere un vero miracolo. Coadiuvato dal regista Mattia Toccaceli, che ha seguito ogni singolo evento con la sua telecamera, spesso coadiuvato anche dai tecnici di OptiMagazine, abbiamo visto alternarsi su tre palchi differenti ben venticinque cantautrici. Una vera invasione di musica di alta fattura. I tre palchi erano quello del teatro Pino Daniele del Palafiori, diventato in settimana CasaSanremo, proprio sotto l’egida di OptiMagazine, poi l’Acoustic Stage di Piazza Sirio Carli, in collaborazione con iCompany e infine quello virtuale di Attico Monina, nella location nella quale ho operato durante il Festival. Non bastasse, il Festivalino di Anatomia Femminile è anche sbaracato al Club Tenco, rappresentato da Francesca Incudine all’interno della rassegna curata dall’Isola che non c’era, e a Casa Siae, rappresentato da Marat.

Qualcosa come un’ottantina di set nei posti focali della città. Decine di migliaia di visualizzazioni online in diretta. Migliaia di persone che hanno assistito dal vivo. Una ventata di femminilità in un mondo, quello della musica, altrimenti in mano a soli uomini.

A partecipare sono state oltre alle già citate Francesca Incudine e Marat, Frey, Chiara Giacobbe, Maria Devigili, Deborah Bontempi, Beatrice Campisi, Maddalena Conni, Eleviole?, Kumi, Veronica Marchi, Elisa Bonomo, Irene Ghiotto, Erika Lei, Machella, Giulia Ventisette, Silvia Conti, Dalise, Agnese Valle, Cecilia, Gabriella Martinelli, Elisabetta Gagliardi, Paola Donzella, Le Canzoni da Marciapiede e Silvia Oddi.

Tutto quello che abbiamo fatto, che hanno fatto, finirà in un docufilm, nella speranza che qualcosa si muova in tal senso.

Quindi no, il problema non è Francesco Renga e le sue dichiarazioni, sicuramente sbagliate. Il problema è che in Italia c’è preclusione verso la musica fatta dalle cantautrici, musica che anche per questo, per il loro essere in qualche modo fuori dai giochi, è quasi sempre libera da schemi e gabbie, decisamente più interessante e ispirata di quella portata avanti dai maschietti. Il problema non è il sessismo per altro inesistente di Renga, il problema è il sessismo di un sistema portato avanti da uomini che odiano le donne. E il problema è di chi invece di guardare la testa tagliata dalla ghigliottina, la marginalità delle donne nel mondo della donna, si concentra sulla forfora che il decapitato ha sulle spalle, le dichiarazioni di Renga.

Musica importante al femminile ce n’è. Un po’ ne abbiamo portata a Sanremo noi del Festivalino di Anatomia Femminile. Molta altra la trovate nell’apposita sede dentro la mia pagina pubblica. Basterebbe solo avere un po’ di curiosità, santa pazienza. Ma in effetti la parola curiosità è declinata al femminile (e io di cognome faccio Monina, non Monino).