Noia Ebbasta, breve analisi del personaggio Trap che ‘canta’ lo sballo e nulla più

Ho cercato, ahimé, di avvicinarmi ai testi e alle 'musiche' del fenomeno Trap del momento: Sfera Ebbasta. Il tentativo di scandalizzare il prossimo da parte di questi personaggi sfocia soltanto in una desolante povertà e in una noia mortale.


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Da venti anni insegno canto. L’ho fatto all’Università della Musica, nella scuola di “Amici” (per tredici anni), nei Conservatori e continuo a farlo nelle scuole di musica sparse per l’Italia e nella mia Accademia. Nella didattica del canto ho sempre ritenuto fondamentale l’analisi del testo di una canzone come primo approccio, ancor prima di emettere qualunque suono con la voce. E che più che sapere come cantare è importante sapere cosa si canta; in parole povere la tecnica al servizio delle emozioni, quelle che si evincono dalla comprensione di un testo, in qualunque lingua venga affrontato.

L’analisi del testo presuppone una comprensione oggettiva del racconto, e un ascolto soggettivo delle corde emotive che quel racconto va a toccare, e siccome siamo esseri con storie e vite diverse, l’interpretazione cambia da individuo a individuo, non solo per un diverso timbro vocale, ma per un diverso “sentire” ed esprimere le emozioni.

È un lavoro lungo e affascinante, che ci consente di usare una canzone come strumento per conoscerci a fondo e farci conoscere attraverso il canto, e per interpretare quella canzone in maniera efficace, in modo cioè, che quel racconto arrivi anche a chi ascolta.

Da quando ho iniziato a insegnare non ho mai cambiato idea sull’utilità di questo metodo; sono cambiate le canzoni, questo sì: è stato necessario passare dai testi di Brassens, Brel, De Andrè, De Gregori a quelli dei cantautori più giovani, ai testi del pop, del rap, del trap, dell’indie (che per me non sarebbe nemmeno un genere, ma tralasciamo), non sia mai che alla richiesta di un allievo di voler imparare un determinato brano ti fai trovare impreparata e “antica”. E quindi mi sono immersa nei testi di tanti “idoli” di oggi, senza prevenzioni. Certo l’ho fatto con un background classico per aver conosciuto e frequentato – personalmente o solo artisticamente – cantautori che hanno fatto letteratura. E comunque bardata anche delle mie conoscenze del rap: quello italiano  (Articolo 31, Piotta, Caparezza, per fare qualche nome) e quello vastissimo d’oltre oceano, di chi esprimeva il proprio disagio con un linguaggio musicale nuovo. Ammetto, quindi, che  non è stato facile.

Mi sono avvicinata ai testi di Sfera Ebbasta, ad esempio, perché è l’icona della “trap italiana”, con i suoi record su Spotify e nelle classifiche di vendita. Per chi ancora non lo sapesse,  la parola “trap”, nello slang americano, indica il luogo dello spaccio, dove si creano spesso comunità tra venditori e compratori di droga. Rispetto ai rapper che sfogano ritmicamente in maniera incalzante i propri problemi, la dilatazione del ritmo della trap rimanda alla lentezza ipnotica dello sballo.

I testi di Sfera Ebbasta si distaccano anche a livello di contenuto: lui è uno uscito dal disagio e che ce l’ha fatta,  e tende in maniera autoreferenziale a sbandierarlo ai quattro venti  nei testi e nell’immagine. È uno pieno di soldi, di orologi, di collane, di droga, di strafottenza, di puttane da back-stage, di capi e oggetti firmati che costano un botto…  insomma è fuori dal tunnel, è uno fortunato, uno di cui si parla, uno che viene fotografato in via Montenapoleone con l’auto di lusso parcheggiata mentre compra inutili cose firmate, uno che si è riscattato. E magari per qualche ragazzo ancora incastrato in quel tunnel caotico che è l’adolescenza, potrebbe pure rappresentare un traguardo di luce.

Qualunque approccio didattico è impossibile, l’immedesimazione nel testo, la ricerca del significato, l’analisi letteraria, la ricerca poetica, l’uso delle parole, il loro suono, il loro significato, il loro messaggio. Resta l’impatto emotivo di fronte a un “personaggio” – parola che mi procura in genere l’orticaria – povero di idee, che cerca  di scandalizzare il prossimo con frasi e parole povere. Una noia mortale.

Sono antica, ovviamente, e fuori moda; in sottofondo mentre scrivo c’è Leo Ferrè che canta  “… il tuo stile, il tuo culo, il tuo culo, il tuo culo…”. Uno che con la parola “culo” ripetuta a manetta ha scritto una delle più belle canzoni d’amore. È che quella parola messa lì proprio non te l’aspetti e quando arriva ha la forza di un tornado, una sola parola, e non è volgare, è poesia.