Parto da due punti apparentemente distanti, almeno per questioni meramente geografiche, cercando di far poi convogliare il tutto in un unico argomento.
Qualche giorno fa in quello spazio magico che ha Roma e che risponde al nome di Officina delle Arti Piero Paolo Pasolini, creatura meravigliosa fortemente voluta da Tosca e da Massimo Venturiello, alla presenza della stessa Tosca e di Felice Liperi Tommaso Paradiso ha parlato di come si scrivono canzoni. Nello specifico, il leader dei TheGiornalisti ha parlato di come lui scrive canzoni, questo il tema della serata. Oggi nel Corriere leggo un estratto del suo discorso che recita suppergiù così: “Siamo cantautori moderni, meno impegnati e noiosi”.
Salto all’altro punto, quello distante. Distante circa seicento chilometri, perché dall’Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini, zona Ponte Milvio, Roma, si passa al Forum di Assago, appunto nei pressi di Milano. Ieri c’è stato il secondo concerto in due giorni di Calcutta. No, fermi, non è una recensione del concerto di Calcutta che state leggendo. Non sono in grado di scrivere questa recensione, perché dove mi trovavo si sentiva davvero di merda (e per altro era in una zona strana, con il biglietto che riportava una fila inesistente), e siccome non voglio credere che la band composta da batteria, basso, due chitarre, due tastiere e ben quattro coriste non sapesse fare il suo dovere, né che non lo sapesse fare il fonico, voglio pensare a una sorta di zona sfigata in cui il suono arrivava male e basta, impedendomi di godermi il concerto come avrei dovuto e voluto, e soprattutto di capire chi è Calcutta dal vivo. Comunque ieri sono andato al concerto di Calcutta, e una cosa mi è arrivata forte e chiara, sì, a differenza della musica, il fatto che i circa diecimila, forse un po’ meno, che ieri erano lì al Forum, si riconoscono parola per parola, nota per nota nelle canzoni del cantautore di Cisterna di Latina. Una roba impensabile anche solo un paio di anni fa, quando sembrava che il cantautorato fosse morto e sepolto, ricordate le stronzate dei rapper come nuovi cantautori? Si riconoscono nelle sue canzoni anni Sessanta, fortemente battistiane, e nei suoi testi malinconici, infarciti di citazioni basse, di nomi di città (sono nato e cresciuto all’ombra del Conero, ma dire che Numana è meglio di Venezia, cazzo, sembra tanta roba), di riferimenti pop e ultrapop come mai prima d’ora. E si riconoscono soprattutto nella sua maniera storta e depressa di affrontare la vita. Una maniera che lo fa gridare in tutti i ritornelli. Tutti i ragazzi e le ragazze presenti si riconoscono in quello che va al centro a Bologna a fare svastiche solo per litigare, a quello che dice Uè deficiente alla propria ex, a quello che cita danza kuduro in una canzone indie. Anzi, questi i discorsi sentiti nella fila che non c’era, tutti si ritengono indie, come a voler rivendicare un posto al mondo, loro, solo loro, con tutti gli altri, noi, fuori.
E allora ho capito una cosa, e veniamo al punto di incontro dei due luoghi distanti da cui sono partito, Tommaso Paradiso ha detto una cazzata. E anche grossa. Nel senso, parlando di sé, certo, fa bene a dire che è poco impegnato, anzi, per nulla, e a ritenersi poco noioso, anche se su questo non ci metterei le mani sul fuoco, ma nel momento in cui tira in ballo Calcutta e I Cani nel circoscrivere una sorta di Nouvelle Vague del cantautorato romano e nazionale, dando quelle due indicazioni di massima, poco impegno e poco noiosità, dice una cazzata. Perché se il discorso vale per lui, sicuramente non vale per Calcutta, e ancor meno per Niccolò Contessa, al secolo I Cani, e volendo manco per un Gazzelle.
Loro, I Cani, Calcutta, Gazzelle, si sono fatti, non so quanto consapevolmente, portavoce di un disagio generazionale che difficilmente trova sfogo in altre forme d’arte, almeno in Italia. Io fatico a capire quella sottile ironia che attraversa i testi, ma ancora di più quella devastante cupezza raccontata con tono leggero, quasi distratto. Quel parlare di buio, i buchi, di vuoto. Ma è lì, sotto gli occhi e gli orecchi di tutti, e una intera generazione, o almeno quella fetta di generazione che cerca un cantautore o dei cantautori che la sappiano raccontare, li ha adottati a propri poeti personali.
Quindi no, Tommaso Paradiso, la nuova generazione di cantautori non è meno impegnata, è semmai impegnata a raccontare altro, l’interno invece che l’esterno, il personale anziché il sociale, ma è impegnata eccome. Sul non essere noiosa, invece, anche qui, ho magari dei dubbi. Perché tra un Battisti e uno che fa Battisti, per questioni generazionali, scelgo ancora Battisti. Ma anche qui, sono un uomo di mezza età, mica posso dare per scontato che certe complessità siano a beneficio di tutti.
Ci sono alcune canzoni di Calcutta, de I Cani, di Gazzelle che mi rimbombano nella testa. E lo fanno perché ho una figlia di diciassette anni che le usa per comunicarmi i suoi stati d’animo, e perché, anche quando non vuole comunicarmeli, stanno lì, nel suo smartphone, a riempire gli spazi vuoti di casa. E lo fanno parlando di spazi vuoti dell’anima, prevalentemente. Non mi sembra poco.
Ho fatto un tentativo: ho provato ad ascoltarmi il panorama dei (veri o presunti) nuovi cantautori, io che ho vissuto di De Gregori, Dalla, Vecchioni, Venditti, De André ecc.
Ebbene, nessuno di questi ultimi mi è sembrato minimamente all’altezza dei sopra citati, che almeno non erano pallosi e depressi come questi. Unica eccezione per Cremonini, che mi sembra di un altro livello.
Calcutta é sincero (qualità non da poco). Non vuole insegnarti niente, e “nasconde” dietro alla sua ironia, che mette anche sul palco, tutte quelle situazioni, piccole o grandi che siano, di cacca che la vita gli consegna ogni giorno. Come ad ognuno di noi.
La sua semplicità, insieme alla sincerità (con testi e musica più che apprezzabile) lo rendono speciale, con un forte seguito.
Super.
Calcutta rappresenta un disagio leggermente più strutturato rispetto a quello degli adolescenti, eppure anche loro riescono ad esprimersi attraverso la sua musica. Del resto, come dice Blindur, non lo so se sentirsi persi è peggio a 16 anni oppure a 27…e in Calcutta ciascuno sente la propria voce. Penso che sia magnifico, specialmente pensando al vuoto che è andato a colmare rispetto alla canzone italiana.
Sí, sí, ma Calcutta è di Latina e non di Cisterna.