Non ci resta che il crimine, Marco Giallini e Alessandro Gassmann a spasso nel tempo come Troisi e Benigni (recensione)

Non ci resta che il crimine è la nuova commedia di Massimiliano Bruno, un film che gioca con un cast corale, e nostalgia anni Ottanta. Buone le idee ma si perde nella resa scenica.


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Ritorno al Futuro incontra Non ci resta che piangere: questo è Non ci resta che il crimine, la nuova commedia di Massimiliano Bruno che fa eco ai due film cult degli anni Ottanta. L’idea di partenza è originale: tre amici della Roma moderna sbarcano il lunario con un tour “criminale” alla scoperta dei luoghi che furono teatro delle orrendi gesta della Banda della Magliana. Il burbero Moreno (Marco Giallini ha ormai incollato quel fascino romanaccio), Sebastiano (un Alessandro Gassmann timido e impacciato, finalmente nei panni di un nuovo personaggio) e Giuseppe (il buon bravo Gianmarco Tognazzi) sono persone anche abbastanza creative: per attrarre i visitatori si vestono con abiti d’epoca, fanno selfie con i turisti cinesi e hanno perfino allestito un mini chiosco di souvenir.

All’improvviso, mentre cercano di sfuggire all’amico Gianfranco (Massimiliano Bruno), i tre si ritrovano catapultati nella Roma dell’estate del 1982, un momento sportivo importante per l’Italia: è infatti l’anno in cui gli Azzurri di Conti e Rossi hanno vinto il Mondiale. In quell’atmosfera festosa incontrano Renatino (Edoardo Leo), rapinatore a capo di una batteria di malavitosi, che all’epoca era dedito alle scommesse clandestine sul calcio. A questo si aggiunge la presenza della pupa del boss (Ilenia Pastorelli), personaggio di contorno che si rivelerà il leimotiv del film; è una donna che, attraverso la sua bellezza, riesce a trarne una forza in grado di manipolare gli uomini.

La commedia di Massimiliano Bruno, come già con Moschettieri del Re di Veronesi, è un curioso esperimento tutto all’italiana con un insolito mix di generi; c’è il demenziale, l’action e il noir – in particolare con la fotografia cupa che ricorda quel tipo di film degli anni Settanta/Ottanta e l’uso dello split screen. Il cast corale rimanda alla classica commedia all’italiana: oltre ai film citati prima, ci sono rimandi a I Soliti Ignoti. I riferimenti alla cultura pop sono disseminati per tutto l’arco narrativo, e sembrano sfidare lo spettatore a trovarli. L’effetto nostalgia è quindi assicurato.

L’attenzione ai particolari e i giusti ingredienti non bastano a realizzare la ricetta perfetta. Non ci resta che il crimine è un progetto ambizioso e coraggioso, che tuttavia si perde nel corso della narrazione. I personaggi di Giallini, Gassmann e Tognazzi vengono gettati da un’epoca storica a un’altra senza un apparente motivo; spetta a Edoardo Leo trainare il resto del cast grazie al ruolo di un cattivo violento, ma carismatico. Forse anche troppo, dato che si ironizza, in maniera anche estrema, sulla Banda della Magliana e su un periodo nero della nostra Italia per molti difficile da dimenticare – al contrario di quanto avveniva in Romanzo Criminale (Giallini viene proprio da lì, e si diverte a giocarci su). Ma il film non ha nessuna voglia di approfondire ed ecco che diventa un leggero tentativo di emulare Non ci resta che piangere con Giallini e Gassmann a spasso nel tempo come moderni [Roberto] Benigni e [Massimo] Troisi.

Non ci resta che il crimine esce nelle sale italiane il 10 gennaio.