Quando Alan Weiss, giornalista della ABC, aveva sentito quel nome stentava a crederci: «Hanno detto Jack Lemmon o John Lennon?». Al pronto soccorso del Roosevelt Hospital di New York, alle 22:48, ci era arrivato perché un taxi lo aveva travolto mentre passava per Central Park con la sua moto. Era l’8 dicembre 1980, e all’improvviso scoppiò il caos: una barella correva veloce verso il reparto rianimazione, con dei poliziotti intorno e un uomo sanguinante, esanime. «Hanno sparato a John Lennon», disse un poliziotto.
Pochi minuti dopo Yoko Ono passò per quei corridoi e tutto fu più chiaro. John Lennon, quello di Imagine, Happy Xmas (War is over), quello dei Beatles e quello che si mostrava sempre in compagnia della moglie, era morto. Il dottor Stephan G. Lynn aveva tenuto il suo cuore in mano fino agli ultimi secondi per tentare un disperato massaggio, ma quei tre proiettili che lo avevano raggiunto al torace, oltre a quello presente sul braccio, lo avevano strappato alla vita.
Il suo assassino era Mark David Chapman, 25 anni. Alle 17 di quel maledetto giorno era riuscito a strappare un autografo a John Lennon, di cui era fan, mentre l’ex Beatles usciva con Yoko Ono dal Dakota Building di Manhattan, la sua residenza. Alle 22:49 la coppia fece ritorno, e Chapman era ancora lì. John Lennon e sua moglie gli passarono accanto, poi gli voltarono le spalle per entrare al Dakota. «Mr Lennon?», poi gli spari.
L’eternità, però, gli era già stata riservata. John Lennon aveva fondato i Beatles insieme a Paul McCartney con il quale compose la maggior parte dei capolavori dei Fab Four, e l’immortalità divenne un fatto, a loro insaputa, quando un McCartney appena quindicenne venne presentato al sedicenne Lennon per entrare nei Quarrymen. Era il 1957 e per la prima volta la coppia di artisti si guardò negli occhi. Negli anni sarebbero diventati gli autori di Strawberry fields forever, Love me do e Paperback writer. I Beatles, poi Yoko Ono. Quando i due si sposarono, per i quattro di Liverpool c’era già tempesta per i problemi finanziari legati alla società Apple, ma la presenza di Yoko Ono gettò le basi per lo scioglimento della band. Fu “Abbey Road”, fu “Let it be”, poi fu l’America.
La musica continuò. Ai due dischi di sperimentazione – i due volumi di “Unfinished music” – pubblicati nel 1968 (i Beatles esistevano ancora) seguì “Live peace in Toronto” (1969), l’album registrato con la Plastic Ono Band nella quale militava anche Eric Clapton e nel quale erano incluse le ormai storiche Give peace a chance, un inno hippie per la pace e Cold turkey. Il 1969 è anche l’anno del Bed-in, la protesta pacifica che John Lennon e Yoko Ono avevano organizzato presso l’Hilton Hotel di Amsterdam per manifestare contro la guerra del Vietnam.
Pace, guerra e protesta avrebbero sempre influenzato la produzione solista di John Lennon: con Working class hero, per esempio, si fece portavoce di se stesso, trattandosi di un brano fortemente personale ma anche politicamente impegnato. Working class hero era inserito nella tracklist di “John Lennon / Plastic Ono Band” (1970) che conteneva anche Mother. In questo album John Lennon aveva riversato tutto il dolore per la perdita della madre, avvenuta a seguito di un incidente nel 1958. Dolore, impegno sociale e autoritratti accompagneranno ogni sua opera, anche quella Imagine che il mondo intero ha adottato come manifesto della pace, della speranza e dell’uguaglianza. L’introduzione suonata col piano è una pietra miliare della carriera di Lennon, e non a caso è il singolo che ha superato tutto il resto del repertorio in fatto di vendite.
Nei 18 mesi di separazione da Yoko, durante i quali frequentò la segretaria May Pang e si diede ad alcuni episodi di alcolismo in compagnia di Keith Moon, Ringo Starr ed Harry Nilsson, John Lennon fece la sua ultima apparizione live durante un concerto di Elton John al Madison Square Garden, nel novembre del 1974. Con Elton John eseguì Whataver gets you thru the night, brano presente nell’album “Wall bridges”, a altri due brani: Lucy in the sky with diamonds e I saw her standing there dei Beatles.
Che John Lennon fosse l’animo più rock dei Beatles non era un mistero, perché quando si parla di rock si parla proprio di lui. Era capace di produrre ballad struggenti come Happy Xmas oppure groove scatenati come la già citata Whatever gets you thru the night, anche incitamenti di folle come Power to the people e firmare, ai tempi dei Fab Four, capolavori come I am the walrus. Proprio al suo amore per il rock si deve l’album “Rock’n’Roll” (1975), un disco interamente composto da cover di brani storici degli anni ’50, da Be-bop-A-Lula a Sweet little sixteen.
Era capace, John Lennon, di guardare chiunque negli occhi nel video di Imagine, allo stesso modo in cui guardò negli occhi il suo assassino, quella sera dell’8 dicembre 1980. Sulla sua vita privata si scrivono tante cose, specie sul suo rapporto con Yoko Ono, ma ciò che è rimasto dell’ex Beatles, del genio e dell’autore di tantissimi messaggi di pace non si è spento nemmeno tra le mani del dottor Lynn, quella notte. Lo stesso medico aveva affermato, in seguito, di aver stretto tra le dita «il cuore di un’intera generazione». La stessa cosa che John Lennon fece al mondo, partendo dai Beatles senza mai avere fine.