Fortnite crea dipendenza? La risposta dei ricercatori

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Un successo prevalentemente inaspettato quello che ha investito Fortnite negli ultimi mesi, e che di fatto ha colto un po’ alla sprovvista il team di Epic Games, che ha visto le proprie fila rimpolparsi progressivamente fino a raggiungere un numero assolutamente ragguardevole (siamo sui settecento membri attivamente impegnati sul progetto, ndr). Una manovra necessaria per un titolo che, stando alle ultime stime trapelate in rete, avrebbe superato nientemeno che GTA 5 nel numero di utenti attivi su base mensile, un risultato che ha del clamoroso vista la fidelizzazione del titolo Rockstar e visto soprattutto il gran numero di copie vendute dalla quinta iterazione del francise, che a scapito degli anni sul groppone riesce a mantenere sempre un grandissimo appeal sulla community (almeno nell’attesa di Red Dead Redemption 2, poi si vedrà, ndr).

Ovviamente il rischio di essere oggetto di attenzioni indesiderate per Fortnite si incrementa esponenzialmente al crescere del numero di utenti che vengono “calamitati” dal suo gameplay, e l’essere additati come fonte di sciagura dalle comunità di genitore ed educatori è un qualcosa con cui si deve fare i conti. O meglio, si dovrebbe, almeno per Fortnite.

Un ricercatore della Glasgow Caledonian University in Scozia, tale Andrew Reid, ha infatti condotto alcune analisi sul gioco dei ragazzi di Epic Games per capirne l’effettiva attrazione e capire se ci sono gli estremi per parlare in questo caso di assuefazione e di dipendenza.

Per fortuna non è questo il caso, con Reid che spiega che bisogna tenere in considerazione svariati fattori che hanno portato un determinato utente a concedersi qualche partita con questo gioco nello specifico: “Fare in modo diverso sarebbe stigmatizzare il medium come un male per la nostra società, nonostante un portfolio in crescita in termini di videogiochi e ricerche che rafforzano le caratteristiche positive del gioco e dell’interattività”.

Fortnite dal canto suo risulta essere meno tossico del previsto anche per le fasce di età più basse, vista la presenza di uno stile cartoonesco che “attutisce” le potenziali conseguenze psicologiche che ci sarebbero potute essere in presenza di una grafica maggiormente fotorealistica.

Precisazioni importanti quelle di Reid, a pochi mesi di distanza dal riconoscimento da parte dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, della dipendenza da videogiochi come un vero e proprio disturbo mentale. Ma Fortnite sarebbe in salvo da potenziali accuse in merito. Almeno sulla carta.

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