Grey’s Anatomy 14×10 tra vita e morte: dalla violenza sulle donne al movimento Black Lives Matters (recensione)

Recensione dell'episodio di Grey's Anatomy 14x10, che incrocia i temi della violenza sulle donne e del razzismo con un omaggio al movimento Black Lives Matters

Grey's Anatomy 14x10,

INTERAZIONI: 56

Grey’s Anatomy 14×10 non è stato solo il seguito dell’episodio precedente, ma qualcosa di più. Molto di più, forse troppo, visto che ha messo sul piatto così tanti temi, forti e diversi, da rischiare di sembrare confusionario ed eccessivo. Poi, come spesso accade nel medical drama di Shonda Rhimes, a fare chiarezza nella confusione della tanta carne messa sul fuoco è arrivato il finale in cui tutto si tiene e ogni linea narrativa trova un senso.

Curiosa la scelta di affidare la voce narrante dell’episodio ad April, che sin dalla prima scena sembra presagire una serie di catastrofi che, puntuali, arriveranno nel corso dell’episodio. La Kepner è di turno in pronto soccorso quando una giornata come un’altra si apre con una serie di ricoveri e finisce con la morte di tutti i suoi pazienti chirurgici.

La morte è certamente il filo conduttore di quest’episodio, ma lo è anche la vita, come altra faccia della medaglia. E lo sono in particolare quelle vite costantemente in pericolo, perché vittime di un sistema che non tutela tutti allo stesso modo.

L’episodio parte dal ricovero d’urgenza di Paul Stadler in ospedale, investito da un’auto che non si è fermata a prestare soccorso: quando tutto sembra ricondurre la responsabilità alla sua fidanzata Jenny, il confronto tra quest’ultima e Jo chiarisce che nessuna delle due è coinvolta nell’incidente. Il loro dialogo col racconto delle violenze subite è meno incisivo di quanto avrebbe potuto essere: lucido, razionale, finisce per sembrare didascalico ed avere meno forza emotiva di quanto avrebbe meritato. Una sorta di compitino ben scritto su cosa voglia dire vivere l’incubo di una relazione malata e come riconoscerlo.

https://youtu.be/8fqysr7IJFs

Più coinvolgente invece è il confronto tra Jenny e il suo compagno violento, in cui vengono rappresentate con dolore e forza la scelta di denunciare, la ritrovata dignità, il riconoscimento che spesso il reato di violenza domestica travalica in quello di tentato omicidio e soprattutto la capacità di mettere la tutela di se stesse prima dei propri sentimenti (“Una parte di me ti ama ancora” dice Jenny mentre promette di denunciare Paul, ed è quello che capita a molte vittime di violenza). Il climax arriva al culmine con la reazione di Paul, che nel tentativo di aggredire ancora la sua vittima finisce per procurarsi un secondo trauma cranico, stavolta letale perché gli causa una morte cerebrale.

https://youtu.be/RB4fPK-4_Ts

In quanto ancora legalmente sposata con Stadler, Jo si ritrova a dover decidere del destino dell’uomo che ha rovinato la sua vita e la sua prima reazione è apparentemente un nonsense: una risata isterica, come sempre avviene nei momenti più assurdi di Grey’s Anatomy, irrompe sul viso della Wilson come reazione immediata a quel paradosso incredibile, poi subito sostituita da un pianto drammatico e liberatorio. La scelta di fare di Paul un donatore per prendere da lui quel che di buono era rimasto, ovvero solo i suoi organi, è motivo di riflessione per Jo e Jenny: nella vita non si è solo buoni o cattivi, ma si può decidere da che parte stare. E l’idea che da un mostro come Stadler possa venire fuori una possibilità di guarigione per altre persone è la nemesi perfetta di questa storia.

Ma mentre tutto fa sembrare che esista una giustizia divina per Jo e Jenny, allo stesso tempo non ce n’è per April: sconvolta dal ritorno di Matthew, lo sposo lasciato sull’altare per correre da Jackson, la Kepner vive una delle giornate più brutte della sua vita, in cui tutte le certezze crollano. Dov’è la giustizia divina quando una madre, la moglie di Matthew, perde la vita subito dopo aver partorito? E dov’è quando un ragazzino di colore di 12 anni viene colpito da una pallottola della polizia mentre cerca semplicemente di entrare in casa sua dalla finestra perché ha dimenticato le chiavi? E come ci si può consolare di queste storture se anche la Sacra Bibbia è piena di riferimenti a violenze, castighi, punizioni autoinflitte che non sembrano orientate al bene dell’uomo?

Se April deve combattere contro se stessa e le sue convinzioni, spronata da un ragazzino che è un credente più fervido di lei, Jackson non ha dubbi nell’affermare i suoi principi: Avery, che sa cosa vuol dire essere un ragazzo afroamericano, è tra i più agguerriti nel protestare contro i poliziotti che hanno sparato ad un ragazzino inerme, ricordando così come certi episodi non avvengano solo nei quartieri difficili, ma anche nelle grandi città, perché quando si tratta di una persona di colore il sospetto delle autorità sfocia spesso nell’uso delle armi, a prescindere dal contesto sociale.

Il momento in assoluto più commovente dell’episodio è quello in cui la Bailey spiega al figlio Tucker ormai adolescente come debba comportarsi di fronte alla polizia: mani in vista, massima deferenza, mai scappare, perché ne va della propria vita. Grey’s Anatomy descrive una società americana in cui un ragazzo di colore non ha le stesse prerogative di uno bianco di fronte all’autorità, un sistema in cui i pregiudizi possono portare alla morte di persone innocenti, anche giovanissime. Una rappresentazione politicamente scorretta, ma purtroppo veritiera: in America i dati sulle persone di colore (in buona parte dei casi disarmate) che perdono la vita per mano della polizia sono ancora allarmanti, anche se apparentemente in lieve calo, e questo episodio rappresenta un tributo al movimento Black Lives Matters, che conta tra i tanti militanti celebrità come Beyoncé, Jay-Z, Rihanna, Barack Obama, Hillary Clinton e la creatrice di Grey’s Anatomy, Shonda Rhimes. Anche l’attore Jesse Williams, che nel medical drama interpreta Jackson Avery, è un attivista per i diritti civili particolarmente impegnato sul fronte della lotta al razzismo nelle forze armate. Dunque non è un caso che sia proprio Jackson il personaggio che con più partecipazione affronta il caso di questo ragazzino ucciso dalla polizia senza motivo: il suo discorso fondato sull’importanza di riconoscere e combattere i pregiudizi e la necessità di cambiare dei protocolli ormai vetusti è una sorta di manifesto del movimento, che trae forza anche dall’interpretazione di Williams particolarmente accorata.

https://youtu.be/w-n35Q5VS9E

Il tema della violenza domestica incrocia dunque quello del razzismo in un episodio che – sulla scia del sempre maggiore orientamento sociale dei contenuti, ormai decisamente precipuo rispetto alla finalità d’intrattenimento della serie – è un grande minestrone che forse doveva tenere separate le due questioni per poterle affrontare al meglio. A tenere le redini di questo discorso così ampio sui diritti civili, quelli delle donne come quelli degli afroamericani, è il personaggio che alla fine dell’episodio rimette in discussione se stessa più di tutti. Di fronte ai fallimenti di quella giornata, ai pazienti morti, alla fiducia persa nelle forze armate per le quali ha fatto da medico in zone di guerra, all’ennesimo dolore provocato al suo ex compagno, April finisce per mettere in dubbio quel che più la rappresenta, la sua stessa fede in Dio, quel sentimento che l’ha guidata fino ad ora dando apparentemente una ragione anche alle tragedie più grandi, come la perdita di un figlio. Ora tutto quel male sembra non avere più un senso.

https://youtu.be/M4ft54yExLw

Il finale dell’episodio è abbastanza scontato, un classico: in Grey’s Anatomy tutti trovano, se non una soluzione, almeno un rifugio e una consolazione nell’alcol e nel sesso (spesso conseguenti l’uno all’altro), così anche April ha finito per avere per la prima volta un’avventura con una delle matricole del Grey Sloan Memorial Hospital. Come annunciato dalla sceneggiatrice Krista Vernoff, il ritorno in scena di Matthew avrà un impatto importante sulla vita di April e le conseguenze si sono già viste in quest’episodio.