Il premio di Alessandro Gassmann, un viaggio on the road nel nome del padre

Uno scrittore va a Stoccolma coi figli per ricevere il premio Nobel per la letteratura. Gassmann firma una commedia leggera ma non banale. E sorprendentemente libertina. Il centro della scena se lo prende Gigi Proietti, un patriarca che fa volutamente pensare a Vittorio Gassman.

Il premio di Alessandro Gassmann, recensione

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Il premio, terzo film da regista di Alessandro Gassmann (anche sceneggiatore, con Massimiliano Bruno e Valter Lupo), racconta il viaggio in auto di Giovanni Passamonte (Gigi Proietti), vincitore del Nobel per la letteratura, che va in quel di Stoccolma a ritirare il prestigioso riconoscimento insieme al figlio Oreste (lo stesso Gassmann), la figlia di un altro matrimonio Lucrezia (Anna Foglietta) e il factotum Rinaldo (Rocco Papaleo).

La lunga trasferta diventa l’occasione in cui affiorano ansie, recriminazioni e conflitti d’un variopinto quartetto: il patriarca Passamonte è uomo di grande successo e sconfinato narcisismo – dice vezzosamente di sé “sono un autore di disimpegno civile” – che dalla vita ha preso molto (donne, matrimoni, figli sparsi in mezzo mondo) e ha restituito poco, tentando semmai goffi recuperi in extremis; Oreste, per reazione, ha disconosciuto il coté intellettuale familiare, e adesso è un cinquantenne ex atleta un po’ burino, di buona indole ma intimamente fragile; Lucrezia ha il birignao da signorina snob 2.0, e fa la blogger perché non riesce a essere una scrittrice all’altezza del padre; si aggiunge l’enigmatico Rinaldo, sorta di figlio acquisito che ha vissuto vicariamente attraverso i successi dell’artista, forse soffrendone. A loro s’aggiungeranno due giovani (Matilda De Angelis e Marco Zitelli), opportunamente tratteggiati senza toni paternalistici.

Ne Il premio il modello de Il posto delle fragole viene subito citato dallo stesso Passamonte – che ha il vizio del riferimento colto pedante – e così immediatamente messo da parte. Perché non siamo dalle parti della riflessione esistenziale in salsa psicanalitica bergmaniana, ma in una commedia italiana di umori terragni e ridanciani, nella quale Gassmann ha scopertamente riversato spunti autobiografici relativi al padre Vittorio, che ebbe quattro figli da altrettante mogli e che molto visse. E quasi automatica è stata la scelta come protagonista dell’amico paterno Gigi Proietti – che al cinema s’è visto troppo poco –, che tratteggia un carattere gaglioffo e magnetico il giusto.

Alessandro Gassmann ha saggiamente scelto la misura del viaggio, che con la sua struttura aperta offre il destro a un racconto ondivago, prestandosi a umori disparati. Il premio è una storia picaresca, a tratti forzatamente surreale (l’acquisto della mucca, l’ex diva del cinema con tentazioni d’eternità), che non è mai veramente profonda, e che però, forse grazie all’ambientazione nelle favolistiche terre scandinave, trova un tono inusuale per il nostro cinema, non parruccone e libertino, con amori, droghe (con tanto di tappa nel quartiere di Christiania a Copenaghen) e un settuagenario gaudente e non perentoriamente saggio.

Peccato però che priva di centro, come il viaggio, risulti anche la sceneggiatura, che non ha la forza di scavare più a fondo nei caratteri, disponendo situazioni che potrebbero anche esplodere nel dramma e che invece si sottraggono sempre alla resa dei conti. Così Gassmann non trova dentro la risata quel retrogusto amaro che avrebbe reso Il premio una commedia ancora migliore di quanto non sia.