L’altra metà della storia, impeccabile gioco d’attori tra Jim Broadbent e Charlotte Rampling

Tratto dal celebre romanzo di Julian Barnes, “Il senso di una fine”, il film di Ritesh Batra racconta la storia d'un uomo che torna sulle tracce del passato e di ferite mai rimarginate. Funziona tutto, dagli attori al ritratto d’ambiente. Ma il déjà-vu e l’esercizio di stile sono dietro l’angolo.

L’altra metà della storia con Jim Broadbent e Charlotte Rampling

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Era inevitabile un film tratto da Il senso di una fine di Julian Barnes, celebrato romanzo inglese vincitore del Man Booker Prize, unanimemente salutato come un capolavoro, anche in Italia, dove l’influente critico del Corriere della Sera Antonio D’Orrico l’aveva definito con qualche enfasi “uno di quei libri che nascono già eterni”.

Prefigurava già la riduzione cinematografica Goffredo Fofi, che recensendo il libro si chiedeva che cosa avrebbero potuto trarne un regista come Joseph Losey insieme al suo sceneggiatore, il drammaturgo Harold Pinter. Alla fine il film l’ha realizzato il regista indiano Ritesh Batra, messosi in luce con Lunchbox e autore per Netflix di Le nostre anime di notte, grande ritorno della coppia Robert Redford-Jane Fonda.

Altro grande duetto d’attori, Jim Broadbent e Charlotte Rampling, è al centro della versione per il cinema de Il senso di una fine, titolo in italiano trasformato in L’altra metà della storia, forse meno depressivo e buono per sottolineare l’elemento di mistero del racconto. Il protagonista è Tony (Broadbent), settantenne divorziato londinese che gestisce un negozietto di macchine fotografiche d’antiquariato e mantiene rapporti d’apatico formalismo con ex moglie, figlia incinta e tutto il mondo intorno. Un giorno riceve una lettera da un avvocato che l’informa della morte della madre di Veronica, l’ex fidanzata dei tempi dell’università, annunciandogli un’enigmatica eredità, un diario di cui però nel pacco non c’è traccia.

La routine si spezza: riemerge il trauma di cinquant’anni prima, l’abbandono della fidanzata per il miglior amico Adrian, suicidatosi poco tempo dopo. Tony torna sulle tracce del passato: entra in contatto con l’amore d’un tempo (Rampling), che non ha alcuna voglia di rivederlo, e capisce che quegli eventi sempre interpretati nella versione per lui più accomodante, avevano invece tutt’altro significato.

Rispetto al romanzo, che mantiene separati ieri e oggi, Ritesh Batra e lo sceneggiatore Nick Payne – stimolati dallo stesso Barnes, che li ha invitati a riadattare liberamente il libro – mescolano le coordinate temporali incastrando i tempi l’uno nell’altro. Così emerge con maggiore nettezza quanto il modo di essere del vecchio Tony dipenda dalla propria storia e da ferite mai realmente rimarginate e come, anzi, l’anziano uomo sia rimasto letteralmente bloccato nel passato.

Davanti a L’altra metà della storia, però, non ci si riesce a liberare dalla sensazione di star assistendo a un film che dà fin troppo ciò che promette: ritmo rarefatto, recitazione d’impercettibili dettagli di misurati attori di scuola britannica, ritratto d’ambiente d’un college altoborghese anni Sessanta, epoca di enormi promesse – soprattutto erotiche – e di altrettante enormi frustrazioni e, infine, la raggelante fotografia d’un presente malinconicamente residuale.

Tutto ne L’altra metà della storia è impeccabilmente al proprio posto, suonando se non falso, superfluo, ingessato in un esercizio di stile calibrato ma fine a se stesso. E non convince il finale conciliante: in cui, troppo meccanicamente, una volta che Tony ha sciolto il mistero, le cose cambiano e la vita riprende in modo diverso. Chissà, invece, che succhi gli ambigui, feroci Losey e Pinter avrebbero saputo trarre da una materia del genere.