Nel mezzo del suo tour europeo, tra i quattro film girati tra 2005 e 2008 tra Londra (Match Point, Scoop, Sogni e delitti) e Barcellona (Vicky Cristina Barcelona), e altre tre puntate nel vecchio continente tra 2010 e 2012 (Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni, Midnight in Paris, To Rome with Love), Woody Allen incastona nel 2009 l’unica tappa newyorkese, Basta che funzioni (Whatever Works), stasera in tv su Iris alle 21.00 in una serata tutta alleniana, che prevede in seconda serata anche Scoop.
Basta che funzioni è in ogni senso, un ritorno: non solo alla città di cui è stato impareggiabile e innamorato cantore (Manhattan, Broadway Danny Rose, Radio Days, vale a dire il meglio della sua filmografia), ma anche ai temi di tutto il suo cinema serio, intriso di pessimismo esistenziale e disillusione sui destini dell’uomo, a partire da quell’inganno irresistibile che è l’amore.
È un ritorno, Basta che funzioni, anche nel senso che Woody Allen riesuma una sceneggiatura vecchia di trent’anni, un progetto immaginato dopo Io e Annie che s’arenò per la morte dell’attore che avrebbe dovuto interpretarlo, Zero Mostel. Ma è un’ottima scelta quella del protagonista, che Woody Allen, scomparendo dietro la macchina da presa, individua nello stand-up comedian Larry David, creatore di Seinfeld e protagonista di Curb Your Enthusiasm. David è un doppio pienamente alleniano, di cui assorbe le caratteristiche principali, misantropia, ipocondria, incontinenza verbale, insieme alle origini ebraiche. Eppure nel protagonista di Basta che funzioni, l’attore mette un sovrappiù di rabbia repressa, disgusto autentico e disillusione amara che lo rendono, come protagonista, più credibile dell’Allen senza nerbo di tante pellicole soprattutto degli anni Novanta.
In Basta che funzioni Larry David è Boris Yellnikov, ex fisico di fama mondiale, anche in odore di Nobel, che dopo la separazione dalla moglie e un tentato suicidio, sopravvive modestamente dando lezioni di scacchi a ragazzini che tratta con lo stesso sgarbo malevolo che destina più o meno al mondo intero. Una sera s’imbatte in Melodie (Evan Rachel Wood), una ventenne scappata a New York dal Mississippi. Decide di darle una mano e l’accoglie in casa: in breve la convivenza forzata si trasforma in un sentimento non troppo equilibrato (lui a fare da pigmalione, con tutta la sua cultura, a una ragazzina proveniente da una famiglia religiosissima, che non sa nulla della vita), ma che pure resta misteriosamente in piedi, al punto che i due si sposano.
Non che col matrimonio tutto diventi rose e fiori: Boris resta l’acido, scorbutico pessimista di sempre, sempre in preda ai suoi livori e alle sue crisi di panico. Eppure, come lo stesso protagonista riconosce facendo un bilancio del primo anno di matrimonio: “Sapete? Non posso dire che sia stato l’anno peggiore della mia vita”. Le cose si complicano quando giungono a New York entrambi i genitori di Melodie (Ed Begley Jr. e Patricia Clarkson), ormai separati. L’incontro con la grande città produce in questi due bigotti di provincia una trasformazione imprevedibile, tra passioni d’artista e improvvise disinibizioni sessuali.
Ma allora, com’è che funziona davvero la vita? È questa la domanda a cui vuole rispondere il regista: ed è qui la debolezza maggiore d’un film che, per il resto, scorre con l’usuale sicurezza alleniana, tra battute argute e divertenti ritrattini (piuttosto caricaturali, in verità) di quel sottobosco di intellettuali e artistoidi verso i quali da sempre indirizza i suoi strali ironici. Il problema di Basta che funzioni infatti è che, alla fine della storia, il regista sente il bisogno di trarre una morale esplicita, col protagonista che si rivolge addirittura direttamente agli spettatori. Il messaggio, più o meno, dice che nella vita – questa avventura insensata e a termine dominata dal caso – bisogna sapersi accontentare e prendere quel che di buono arriva. “Basta che funzioni”, appunto: e per il resto, non farsi troppe domande e non nutrire particolari aspettative.
Non proprio una scoperta sconvolgente, verrebbe da dire. Ma potrebbe anche andar bene, se Allen non sentisse il bisogno, come per dare una veste più autorevole al suo bignami esistenziale, di condirlo di riferimenti e citazioni più o meno colte, girando intorno (senza mai affrontarli davvero) a temi alti come il caso, il destino, la fede. Cose serie, di fronte alle quali si ritrae quasi sempre, soprattutto nel suo cinema degli ultimi vent’anni, con l’espediente d’una freddura salace (Allen è un battutista inesauribile e insuperabile) che pare tenere a bada l’autentica angoscia invece di tematizzarla. È lo stesso effetto che lascia la confezione estenuata del film, la fotografia calda e morbida sulle tinte ocra, le swinganti canzoncine anni Trenta, un riferimento alla grazia di Fred Astaire: cose magnifiche, che però stendono una patina soffusa e anestetizzante sulla pellicola, che elude i veri problemi di cui pure in teoria dice di voler parlare. Ma in fondo, basta che funzioni: e questo Whatever Works, rispetto alla media dell’Allen recente, funziona decisamente meglio.
Basta che funzioni (Whatever Works, 2009) di Woody Allen, con Larry David, Evan Rachel Wood, Patricia Clarkson, Ed Begley Jr., Henri Cavill, stasera in tv su Iris, ore 21.00.