Artisti falsi nelle playlist di Spotify? I sospetti “fake” e la replica del servizio streaming

Ci sarebbero almeno 50 artisti falsi nelle playlist di Spotify, "fake" usati per riempire le playlist del servizio streaming, che però smentisce nettamente

Artisti falsi nelle playlist di Spotify?

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La polemica è diventata rapidamente virale, ma la risposta di Spotify non si è fatta attendere: il servizio di musica in streaming ha negato che in alcune delle sue playlist siano contenuti brani musicali di “artisti falsi”.

La questione è stata sollevata da Music Business Worldwide e rilanciata da Vulture: secondo i magazine, ci sarebbero almeno 50 artisti “non reali”, praticamente inesistenti, che però hanno raccolto milioni di flussi streaming su Spotify, comparendo in alcune playlist basate sull’umore come quelle intitolate Sleep o Ambient Chill. Molti di loro non hanno un profilo visibile e non risulterebbero esistere altrove, nemmeno su piattaforme rivali o sui social network. Un esempio presentato da Vulture è quello di Relajar, artista che ha raccolto 13,4 milioni di ascolti su Spotify, ma non appare nemmeno nei risultati dei motori di ricerca. O Enno Aare, altro artista sconosciuto che sembra non esistere al di fuori del servizio di streaming, su cui però compare con quattro canzoni con un totale di 17 milioni di ascolti ed è incluso in molte playlist.

Non abbiamo né abbiamo mai creato falsi artisti per metterli nelle playlist di Spotify, è categoricamente falso, punto“, ha asserito la dirigenza del colosso dello streaming in una dichiarazione perentoria. E ancora:

Paghiamo diritti d’autore per tutti i brani di Spotify e per tutto quello che pubblichiamo. Non possediamo diritti, non siamo un’etichetta: tutta la nostra musica è concessa in licenza dai detentori dei diritti, che noi paghiamo – non ci paghiamo da soli. Non possediamo questi contenuti – li prendiamo e paghiamo diritti proprio come facciamo per ogni altra traccia.

Secondo Music Business Worldwide, invece, Spotify potrebbe aver commissionato canzoni pubblicate sotto falsi nomi a tariffe molto più favorevoli per l’azienda dal punto di vista delle royalties rispetto ai costi standard affrontati con le etichette discografiche, con una riduzione significativa di costi per ciascun brano.

Music Business Worldwide ha individuato cinquanta nomi sospetti e afferma che “c’è una pletora di artisti inventati su Spotify, creati sotto anonimato dai produttori, innescando milioni di stream, selezionati per apparire sulle loro playlist“. Spotify ha rifiutato di commentare ulteriormente la questione.