Whiplash, stasera in prima tv il film che ha lanciato Damien Chazelle, il regista di “La La Land”

Prima del musical pigliatutto, Chazelle s’era fatto notare con questo film su un batterista che, per diventare il migliore, si fa strapazzare da un insegnante aguzzino. "Whiplash" è la storia di uomini disposti a tutto pur di eccellere. Discutibile, ma imperdibile. Alle 21.20 su Rai Tre.

Whiplash, stasera in prima tv il film di Damien Chazelle

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Whiplash, uscito nel 2014, ha imposto all’attenzione internazionale il talento del regista Damien Chazelle, grazie anche ai tre Oscar vinti. Tra il plauso generale spuntò qualche voce critica, come quella del decano della critica militante Goffredo Fofi, che lo bollò come “una favola per gonzi di destra”. Certamente, dopo l’exploit del successivo La La Land, diventa più difficile esprimere giudizi così definitivi sul film e Chazelle, divenuto istantaneamente il nuovo maestro del cinema americano, laureato con un Oscar personale – il più giovane di sempre a vincere la statuetta per la miglior regia – e circonfuso d’una precoce mitologia riservata solo ai grandissimi.

La fama è certamente legata anche al profumo di cinefilia che caratterizza i suoi film, capaci di far battere il cuore di appassionati e nostalgici della settima arte com’era una volta. Questo sebbene non sia tanto la nostalgia quanto la malinconia la cifra di La La Land, ode a un genere, il musical, che non può più esistere nella forma perfetta e irripetibile delle pellicole di Fred Astaire o Gene Kelly. Infatti Chazelle imbastisce un musical consapevole di questa impossibilità, intriso del rimpianto per qualcosa d’ormai inattingibile, che lui insegue per mezzo di musiche, coreografie, costumi raffinati, in una messinscena pervicace d’un passato inattualizzabile, come certifica la storia d’amore senza futuro di Sebastian e Mia (Ryan Gosling ed Emma Stone).

A guardarlo col senno di poi, cioè col senno di La La Land, Andrew (Miles Teller), il protagonista di Whiplash – che stasera Rai Tre propone in un’imperdibile prima tv alle 21.20 – assomiglia non poco a Sebastian. Entrambi sono musicisti che sognano utopicamente di riportare in vita un jazz ineluttabilmente rétro, nutrito dell’eleganza d’un Miles Davis d’annata e copertine dei dischi Blue Note, oppure, nel caso del batterista Andrew, vivendo nell’ammirazione imitativa del virtuosismo di un Buddy Rich.

Andrew e Sebastian sono due uomini che coltivano la propria solitudine, e sacrificano ogni cosa sull’altare dell’arte, dell’idea di purezza che per loro la musica deve incarnare. Andrew, studente d’una esclusiva scuola di musica, abbandona la fidanzata perché deve dedicarsi integralmente all’affinamento della tecnica, e non può perder tempo con l’amore. Nella sua vita da anacoreta, fatta di esercizio e rigore, incontra un uomo fatto della sua stessa pasta: l’inflessibile maestro Fletcher (J.K. Simmons), se possibile ancora più solitario di lui – Chazelle, nella prima sequenza lo fa emergere letteralmente dall’ombra, come un fantasma –, votato alla religione dell’esecuzione perfetta – in particolare di Whiplash, complicato standard in 7/4 – e al rispetto maniacale del tempo giusto.

Il film è la storia d’un rapporto sadomasochistico, con un maestro aguzzino che maltratta, offende e spinge sino ai limiti e molto oltre un allievo che non chiede altro. Gli altri personaggi sono evanescenti: nell’economia della vicenda sono molto più importanti gli oggetti – spartiti, bacchette, tom, rullanti – cui Chazelle riserva continui primi piani, perché è quella la stoffa di cui è fatto un film che racconta la storia di un’ossessione e non la vita di alcuni individui.

Whiplash è un film quasi senza personaggi: persino Andrew e Fletcher non incarnano figure psicologicamente verosimili, ma sono delle pure funzioni narrative, tramite le quali esporre una visione dell’arte intesa come vocazione assoluta, così totalizzante da sconfinare nella santità – e quindi nel martirio, come dimostrano gli esercizi cui Andrew si sottopone sino a sanguinare.

Teso fino all’estremo, il film finisce inevitabilmente per avere un’aria destrorsa, perché Fletcher, che tempesta gli allievi di battute razziste e sessiste, somiglia tanto al sergente di ferro di Ufficiale e gentiluomo o peggio, all’istruttore di Full Metal Jacket. Chi ama Whiplash rispedirebbe al mittente l’accusa sostenendo, in primo luogo, che il fanatismo appartiene alla storia e non all’ideologia del film – Chazelle, anzi, metterebbe in guardia da questi estremismi; e che, semmai, il fanatismo non è politico ma estetico, nasce cioè dall’aspirazione a una bellezza ultraterrena che muove sia Andrew che Fletcher, i quali sull’altare di quel sogno sono disposti a sacrificare ogni cosa, persino se stessi.

Sono argomentazioni legittime, che dunque spingerebbero a rivedere i giudizi negativi – tra cui, molto modestamente, il mio – circa la pedagogia afflittiva di Whiplash, sintetizzata dall’aneddoto di Fletcher su Charlie Parker, che secondo lui sarebbe diventato un grande musicista solo grazie a un batterista che lo trattava malissimo. E però resta, anche dopo aver rivisto il film, la lugubre sensazione di un’opera tutta incentrata sulla musica nella quale di musica non c’è quasi traccia.

Sarà anche vero, come ha detto Chazelle, che Whiplash non vuole essere un “tipico film sulla gioia della musica”. Ma mai si era visto un film che raccontasse il suonare – e il fare arte in generale – come un’esperienza così mostruosa, castrante, infelice. Sull’arte come doloroso percorso maniacale in cui si rischia di dissipare la vita esistono opere eccellenti quali, restando in ambito cinematografico, il meraviglioso Scarpette rosse. Ma quello è un film che, insieme all’ossessione, fa toccare con mano quella bellezza che esalta al punto di esporsi sino al sacrificio estremo; e così, se non giustifica, spiega il perché di comportamenti che agli occhi dei comuni mortali appaiono folli e sociopatici.

Whiplash invece è un’immersione patologica in un mondo popolato di individui per i quali la musica non è mai fonte di piacere – Fletcher ripete continuamente agli allievi di “divertirsi”, ma nulla è più lontano dalla felicità del suo modello didattico oppressivo e autoritario. Oltretutto, benché stia in una big band, Andrew non suona mai con gli altri, ma solo per se stesso. E l’unico concetto espresso dal film non è l’amore per la musica e la bellezza, ma una sfrenata voglia di competizione in un mondo in cui tutti sono nemici di tutti e dove il successo di uno corrisponde geometricamente al fallimento di qualcun altro.

Inoltre, ed è cosa discutibile per un film incentrato sulla musica, Whiplash dall’inizio alla fine suona sempre la stessa nota, rielaborando attraverso continue variazioni un solo spunto narrativo  il rapporto maestro-allievo impostato sin dal prologo. Quant’è respingente, l’opaca melodia intonata dal film di Damien Chazelle.

Whiplash (2014), di Damien Chazelle, con Miles Teller, J.K. Simmons, stasera in prima tv su Rai Tre, ore 21.20.