Non c’è più religione, arriva il presepe di Claudio Bisio e Alessandro Gassmann

Per rilanciare il turismo, il sindaco punta sul presepe vivente. Ma chi sarà il Bambin Gesù, in un paese senza figli? Viene in aiuto la comunità islamica. Come in “Benvenuti al Sud”, Luca Miniero racconta con ironia il confronto tra mondi diversi. E stavolta tocca all’Italia multietnica.

Non c’è più religione il presepe di Bisio e Gassmann

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Nell’affollatissima offerta cinematografica natalizia arriva il presepe di Claudio Bisio e Alessandro Gassmann di Non c’è più religione, firmato da Luca Miniero, film targato Cattleya e Rai Cinema. A Porto Buio, paesino di fantasia in un’isoletta baciata dal sole del Mediterraneo, l’ambizioso neosindaco Cecco (Claudio Bisio), rientrato dopo anni vissuti al Nord (così si giustifica l’accento di Bisio), vuole puntare sul presepe vivente come attrattore turistico. Ma c’è un problema: chi impersonerà il Bambin Gesù? A Porto Buio, infatti, non nascono bambini da anni, l’unico è grandicello e decisamente sovrappeso (“sembra il bue” dice in tono politicamente scorretto Cecco).

Giunge in aiuto Marchetto (Alessandro Gassmann), amico d’infanzia del sindaco, col quale ha antiche ruggini perché quand’erano adolescenti Cecco gli aveva soffiato la ragazza, Marta (Anna Finocchiaro), che poi s’è fatta suora. Marchetto si è convertito alla fede musulmana, cambiando il suo nome in Bilal. In qualità di capo della comunità islamica dell’isola è disposto a fornire un neonato per il presepe. Naturalmente, in cambio di qualche favore.

Non c’è più religione, insomma affronta in chiave ironica l’incontro-scontro tra culture diverse: cioè la storia che Miniero ripete dai tempi di Incantesimo napoletano e Benvenuti al Sud. Che però beneficiava di una sceneggiatura ben costruita, perché remake del fortunatissimo Giù al Nord francese. Invece la sceneggiatura, firmata da Miniero, Astutillo Smeriglia e Sandro Petraglia, è la nota dolente di questo film.

Il presepe di Non c’è più religione messo in piedi da Bisio e Gassmann vorrebbe essere un’allegoria dell’Italia multietnica alle prese con trasformazioni così profonde da incidere persino sulle tradizioni più consolidate. Un’idea che, anche in chiave di commedia, avrebbe potuto trovare una sua ragion d’essere. Ma il racconto prende appena spunto dal dato di realtà della coesistenza tra culture, per virare rapidamente sui facili effetti d’una farsa leggera che gioca su stereotipi e paradossi. Come gli isolani che pur di avere il bambino s’impegnano a fare il Ramadan o una surreale doppia funzione religiosa contemporanea in chiesa, cattolica e musulmana.

Invece di seguire una solida progressione narrativa Non c’è più religione procede per accumulazione di storie ed episodi: c’è quello – l’unico con accenti sinceri – dell’antica amicizia di Bisio, Gassmann e Finocchiaro; c’è la mamma napoletanissima di Gassmann (il cui accento napoletano è zoppicante) che non si rassegna alla conversione del figlio, non per motivi religiosi ma strettamente gastronomici; e c’è persino una figlia di Bisio di ritorno da Londra con una sorpresa che aumenterà il numero delle etnie presenti sull’isola.

Alla fine il presepe di Non c’è più religione con Bisio e Gassmann suona piuttosto fasullo. Come la barba da profeta di Bilal. Lui la sfoggia orgoglioso, ma è finta, e gli fa pure irritazione sulla pelle. E un po’ d’irritazione viene, a guardare il nuovo film di Luca Miniero.