Jimmy Ingrassia a OM tra musica senza etichette, nuovi progetti e il sogno di suonare “per tutta la vita”

Jimmy Ingrassia crede nel sogno di una musica libera: nell'intervista a OM - Optimagazine, il cantautore racconta di come sia nato il nuovo album e della scelta di affrontare tematiche a sfondo sociale.

Jimmy Ingrassia

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Autore, interprete e produttore: triplo talento per Jimmy Ingrassia, che si appresta a scalare la vetta del successo con Sotto I Piedi Dei Giganti. Il nuovo disco di inediti del cantautore siciliano, anticipato dal singolo Alza La Bandiera, è disponibile in tutti i digital stores a partire dal 15 ottobre.

Un nuovo disco da promuovere, diffuso grazie all’operato della produzione, e un lungo tour in Italia e magari all’estero. Questi i prossimi impegni di Jimmy Ingrassia, che per la realizzazione di Sotto i Piedi dei Giganti si è avvalso della collaborazione di Fabrizio Palma, Francesco Musacco, Daniele Bonaviri e Mauro Laficara.

Sotto i Piedi Dei Giganti è un album variopinto, nel quale l’artista ha voluto affrontare le tematiche più disparate, dall’immigrazione all’amore, passando per i temi sociali e quelli più ironici. Rilasciato su etichetta Steel Rose Records, il disco di Ingrassia è un ritratto dissacrante della società moderna ma anche un prodotto nel quale non manca il sentimento, quello per una donna ma anche quello per i genitori. Raggiunto da OM, Jimmy Ingrassia ha raccontato la genesi di questo nuovo lavoro e ha spiegato quale ruolo dovrebbe ricoprire la musica nella società moderna.

Iniziamo con una domanda semplice: chi è Jimmy Ingrassia?

“Sembra semplice questa domanda, in realtà è difficilissima. Autodefinirsi è sempre molto complicato. Posso dire di essere una persona che è partita dalla Sicilia con una valigia piena di sogni e si è trasferita a Roma nel 2004. Nel periodo in cui sono partito io, non era così facile fare musica da qualsiasi parte del mondo. In Sicilia, ho trovato difficoltà a trovare produttori. Il mondo musicale della realtà trapanese non era così semplice, quindi, per questo, mi sono trasferito a Roma. Ho studiato canto con i grandi nomi della musica italiana, come Edda Dell’Orso, la celebre vocalist di Ennio Morricone e poi ho iniziato con alcuni programmi televisivi. Ho cominciato con Domenica In, da corista, con Mara Venier. Il mio intento era quello di studiare canto e di diventare un cantante ed è quello che faccio da più di 15 anni”.

In Sotto i piedi dei giganti è contenuta “Per Votarmi Scrivi Sì”, che potrebbe far pensare al referendum costituzionale. In realtà, è un brano sui talent. Cosa conservi della tua esperienza a The Voice? Lo rifaresti? Secondo te, cosa c’è che funziona e cosa non funziona nel meccanismo dei talent?

“Per Votarmi Scrivi Sì parla in maniera generica dei talent, soprattutto parla del sistema televoto. È nato come un qualcosa di preferenziale, quindi chi aveva più seguaci poteva avere la speranza di arrivare ai primi posti. Nel 2009, quando per la prima volta inserirono il sistema televoto, mi ero presentato a Sanremo e mi sono ritrovato in un qualcosa in cui non esistevano preferenze, ma solo una gara di soldi. Chi più pagava i call center aveva maggiori possibilità di arrivare in alto. Il brano ironizza su questo sistema che non può essere regolare. Nel 2014 ho partecipato a The Voice of Italy ed ero ancora un po’ acerbo, nonostante tutte le esperienze fatte. Ero ancora convinto che il grande salto si potesse fare partecipando a un talent. Ho capito, invece, che è la cosa più sbagliata. Chi crede veramente nella musica come forma d’arte, capisce che lì ci sono dei sistemi che tutto fanno tranne che pensare alla musica e al talento. Eppure si chiama talent: pensano poco al talento, ma si concentrano sull’audience e il business. Non rifarei questa esperienza, dopo The Voice non ho partecipato ad altri provini per un talent. Ho capito che mi devo discostare da questa realtà. Fare musica è un’altra cosa. Fare musica significa continuare a farlo per tutta la vita, anche a prescindere da questi concorsi, che prediligono il bel canto e lo spettacolo. Non posso dire che è un’esperienza che rifarei, anche se non voglio sputare nel piatto in cui ho mangiato. Il talent non è una distruzione. Se fosse fatto in un’altra maniera, potrebbe essere una nuova forma di talent scouting, come succedeva tempo fa. In generale, bisognerebbe cantare in italiano, almeno per i talent che vanno in onda in Italia. L’inglese, in Italia, non va avanti come progetto originale. In più, si dovrebbero cantare canzoni proprie quindi o sei un cantautore o ti presenti con un inedito sin dalla prima puntata. La musica dovrebbe andare avanti, perché ancora cantiamo le cover degli anni ’80. Queste sono le regole fondamentali”.

In Alza la bandiera, invece, parli di giustizia e dignità. Pensi che la musica possa essere il giusto mezzo per comunicare e sensibilizzare su messaggi così importanti?

La musica è una goccia nell’oceano, purtroppo. Non sarà una canzone a cambiare le cose. Però, come dico in una delle canzoni dell’album, Inquinamento Cerebrale, una goccia nell’oceano potrà pure fare niente, ma un’ondata di buon senso può aiutarci veramente. Un viaggio di mille miglia si comincia da un solo passo. Se non ci muoviamo, le cose non cambiano. Con la musica, oltre a fare un bel brano, cerco di comunicare e di smuovere le coscienze. Un artista, se vuol essere definito tale, deve comunicare. Se non c’è comunicazione, non c’è arte. Il problema è che non c’è più tempo per ascoltare ma non c’è neanche la capacità di recepire. Sotto i Piedi Dei Giganti indica il sistema che ci schiaccia, ci opprime, ci appiattisce. Il sistema vuole renderci molto più ignoranti di quanto già siamo, in modo da non avere le armi per contrastare questa situazione. Se tieni le persone nell’ignoranza, queste non saranno in grado di recepire il messaggio. Le tematiche del mio disco nascono per caso, non penso prima a quello che scrivo. Come dice il grande Vasco, le canzoni nascono da sole. Quello è il mio modo di scrivere. Non sono stato l’unico a scrivere quest’album: devo menzionare Matteo Sperandio, Salvatore Mineo ed Ernesto De Luca che hanno partecipato al disco come autori. Sono anche un interprete: perché non cantare una bella canzone? Non sono uno di quelli che dice: solo canzoni mie! Quest’album è variopinto: oltre a tematiche di protesta e contestazione, ci sono canzoni ironiche e sarcastiche ma anche canzoni sentimentali. C’è un po’ di tutto: credo che la musica non abbia etichette, un cantante non deve essere etichettato, non deve essere uno che fa solo canzoni allegre, né quello che fa solo canzoni tristi. Non deve poter parlare solo d’amore o solo di temi sociali, ma un cantante deve cantare un po’ di tutto. Il mio disco spazia dal tema immigrazione, a quello ironico, per arrivare a quello sarcastico, fino alla ballata sentimentale che parla di sentimenti non solo verso una donna – come in Mentre Cerco Il Sorriso Che Ho Perso – ma anche del rapporto con la mamma, come nel brano Veleno”.

Nel tuo ultimo disco è presente una cover di A mano a mano nella versione di Riccardo Cocciante. Hai un legame particolare con lui o con la canzone?

“A mano a mano è una canzone scritta da Riccardo Cocciante e portata al successo da Rino Gaetano. Ho scelto questa canzone perché è quella che avrei voluto scrivere io. Trovo che all’interno di questo pezzo vi sia il massimo che ci si possa aspettare da un brano con una tematica amorosa. È scritta talmente bene e non in maniera scontata – fondamentale nella scrittura di una canzone – che mi ha fatto innamorare subito. Oltre al testo, ha la melodia giusta, cresce in maniera perfetta e – ripeto – è la canzone che avrei voluto scrivere io. Per questo, ho voluto rendere omaggio a questi due mostri sacri, Riccardo Cocciante e Rino Gaetano. Da anni, la propongo nei miei live ed è come se la sentissi mia. La gente la acclamava e quindi ho deciso di inserirla nel disco”.

È un po’ presto per parlare di nuovi progetti, ma cosa c’è in cantiere per dare un seguito a Sotto i piedi dei giganti?

“La mia intenzione – e quella della produzione – è quella di fare più date possibile. Senza dubbio adesso non si guarda a un nuovo disco perché siamo appena usciti: vorremmo divulgare questo il più possibile. Abbiamo scelto di non fare una distribuzione fisica nei negozi, ma faremo trovare l’album direttamente nei live e nei concerti che farò in giro. Farò un lavoro di porta a porta. Distribuire un disco nei negozi, che quasi non esistono più, è una spesa eccessiva se si pensa che è molto difficile – nel 2016 – che la gente si sposti da casa per comprare un album. Preferisco che il pubblico acquisti il mio album dopo averlo ascoltato in un live. Speriamo di fare tanti concerti, in Italia e anche all’estero”.