Almeno una volta nella vita avrete firmato una petizione di Change.org, per qualsivoglia motivo abbia reso necessario il fatto che apponeste la vostra adesione per dare voce ad alcune idee. Parliamo, per chi non lo sapesse, del sistema di raccolta petizioni più popolare del web, strumento spesse volte utilizzato come forma di sensibilizzazione socio-politica. Stando ad un’inchiesta portata avanti da L’Espresso, la piattaforma guadagnerebbe vendendo i dati degli utenti, così da profilarli.
Le ONG pagherebbero a caro prezzo queste informazioni, ci sarebbe addirittura un tariffario ben preciso: 1.50 euro per registri con meno di 10 mila email, fino ad un minimo di 0.85 cent per pacchetti con più di 500 mila.
Sconvolti? Change.org ha confermato la cosa, affermando che chi decide di firmare una petizione sponsorizzata potrebbe lasciare spuntata, deliberatamente o per distrazione, la voce che lo informa del fatto.
Secondo John Coventry, responsabile della sezione comunicazione di Change.org, la maggior parte di quelli che lasciano la spunta sono perfettamente coscienti di poter essere ricontattati dall’organizzazione.
Change.org si difende così, dichiarando di non vendere senza criterio gli indirizzi email di chi decide di apporre la propria forma alle varie petizioni. La piattaforma offre un servizio di lead generation, che fa capo in maniera particolare ad onlus volontarie, che hanno come unico scopo quello di raccogliere quanti più donatori possibili per continuare a perorare al meglio la propria causa benefica.
Gli utenti che firmano petizioni sponsorizzate (solo di questa tipologia, lo precisiamo) possono decidere in assoluta autonomia se lasciare che Change.org giri i propri dati all’organizzazione che la sponsorizza. Non c’è trucco, sta semplicemente a voi fare attenzione alle voci che lasciate spuntate se non intendete essere ricontattati.