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Il piano di Maggie: una commedia indie brillante e malinconica

Il film di Rebecca Miller racconta un triangolo amoroso in una New York tutta di intellettuali. Una storia sincera di confusione esistenziale e fragili sentimenti. Che ha però lo stesso limite dei suoi personaggi: l’incapacità di viversi le emozioni fino in fondo.

di Stefano Fedele
05/07/2016
INTERAZIONI: 56

INTERAZIONI: 56

Il piano di Maggie a cosa servono gli uomini

Greta Gerwig, musa del cinema indie dei film di Noah Baumbach (Frances Ha, Mistress America). Uno sgualcito Ethan Hawke, logorroico come nell’iconico ruolo della trilogia Before (Sunrise, Sunset, Midnight) di Richard Linklater. Un’algida e nevrotica Julianne Moore. Ecco il triangolo di Il piano di Maggie. A cosa servono gli uomini di Rebecca Miller.

Ma poiché è un triangolo da cinema indipendente non scatta il melodramma. Siamo in una New York ipercolta, dove le passioni non deflagrano mai con accenti tragici ma sono diluite in un’attitudine compassata alla vita che impone un’espressione temperata dei sentimenti.

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La Miller però – figlia del celebre drammaturgo Arthur e moglie di Daniel Day-Lewis – mescola le carte, inoculando nell’usuale melanconia indie un tono più brillante, che guarda alla commedia sofisticata hollywoodiana d’una volta. Idea corretta: perché Il piano di Maggie, raccontando d’una coppia che si separa e poi si ricompone, appartiene al canone delle “commedie del rimatrimonio”, come le definì Stanley Cavell, caratteristiche proprio del cinema americano degli anni Trenta-Quaranta.

Maggie (Gerwig) è un’insegnante trentenne che vuole un figlio con l’inseminazione artificiale. Trova un donatore ma “inciampa” in John (Hawke), antropologo, autore d’un influente saggio intitolato “Rituali del feticismo del lusso alla fine dell’impero”. Lui le fa leggere i primi capitoli del romanzo cui sta lavorando. A quel punto sboccia l’amore e John allora abbandona la compagna Georgette (Moore), frustrante e anaffettiva docente universitaria, e i due figli.

Salto di tre anni. Maggie e John hanno avuto una bambina. Lui sta ancora lavorando al romanzo. Georgette s’è vendicata nell’unico modo consentitole dalla sua educazione, scrivendo un libro velenoso contro il marito, travestito però nei panni ortodossi d’un saggio accademico. Intanto Maggie non ama più John ed è stufa d’accollarsi tutti i problemi familiari. E lui resta sempre il referente delle ansie di Georgette. Che fare? Maggie anticipa la crisi, operando con discrezione per il riavvicinamento tra gli ex.

Il piano di Maggie ironizza su ambienti sociali in cui, nonostante l’imponente bagaglio di conoscenze teoriche, i protagonisti non sanno guardare con franchezza dentro se stessi. Maggie vorrebbe gestire gli altri come si trattasse di pedine su una scacchiera. E John crede di poter tornare dalla ex moglie come nulla fosse. La scarsa dimestichezza con le emozioni proprie e altrui, insomma, li fa agire con colpevole leggerezza.

Il momento più sincero è quello in cui la figlia adolescente capisce che John e Georgette non sanno cosa stanno facendo. E resta sgomenta da questi genitori senza più regole certe da insegnare. Sono temi che Il piano di Maggie affronta con sincerità, ma con un’ironia che poteva essere più graffiante. Il film tiene a distanza la realtà e ammorbidisce i traumi perché, come i suoi personaggi, è a disagio coi sentimenti. E allora quando arriva al momento emotivamente più coinvolgente – il riaccendersi d’un amore –, Il piano di Maggie lo racconta ricorrendo alle note di Bruce Springsteen, come se sapesse di non possedere di suo la voce e il linguaggio giusti per farlo.

Tags: cinema americanoethan hawkeGreta GerwigJulianne Moore

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