La famiglia secondo Biagio Antonacci: il matrimonio, i figli (biologici e non) e i sensi di colpa

Biagio Antonacci parla di famiglia, matrimonio e figli nell'intervista a Vanity Fair, che gli dedica la copertina di questa settimana


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A ridosso della partecipazione ai Wind Music Awards in cui ha presentato la nuova versione del singolo One Day in duetto con Pino Daniele, Biagio Antonacci ha rilasciato un’intervista al settimanale Vanity Fair che questa settimana gli dedica la copertina.

Nel numero in edicola da mercoledì 8 giugno, il cantautore di Rozzano parla a ruota libera di amore e famiglia, dei suoi due figli Paolo e Giovanni e della figlia della sua compagna Benedetta, che ha cresciuto come se fosse sua a tutti gli effetti.

Già da tempo schierato apertamente per l’approvazione della legge sulle unioni civili e per l’adozione ai single e alle coppie gay, con tanto di appello su Rai1 che gli costò una marea di critiche, Biagio Antonacci ha raccontato la sua idea di famiglia, che non è solo aperta alle tante ipotesi ‘allargate’ che oggigiorno sono diventate usuali, ma fa un discorso che a partire dall’esperienza di suo nonno e di suo padre va anche oltre lo stesso concetto di nucleo familiare fondato sull’amore.

Biagio Antonacci in copertina su Vanity Fair

Biagio Antonacci racconta come suo nonno abbia cresciuto una famiglia numerosa dopo la perdita della moglie quasi imponendo ai suoi figli la presenza di un’altra donna, una vedova a sua volta, con la quale ha creato una nuova famiglia in una logica di mutuo soccorso. Perché famiglia non è solo dove c’è amore, ma anche laddove le persone trovano insieme il modo giusto per volersi bene, supportarsi e andare avanti. Un insegnamento che ha tratto dall’esperienza del nonno.

Successe una sera, o forse era un mezzogiorno, non fa molta differenza. Mio padre e i suoi fratelli erano a tavola; di nove sedie, una era vuota: mia nonna era morta, lasciando al nonno l’incombenza di sette figli da tirare su. Suonarono alla porta, entrò una donna, con un bambino per mano. Il nonno disse: da oggi questa è vostra madre, lei prese la sedia vuota, si sedette col bambino in braccio. Nessuno disse niente, iniziarono a mangiare. Era nata una nuova famiglia. La signora che entrò da quella porta era una vedova, che mio nonno aveva conosciuto al cimitero, dove l’uno e l’altra portavano i fiori a quei coniugi che non c’erano più. Immagino che il sentimento sia nato piano piano, incontro dopo incontro, parlando del loro dolore, fino a quel giorno in cui lei entrò nella casa e nella vita di quella famiglia monca. Non so se il loro sia stato un amore come lo intendiamo noi adesso, o più probabilmente una più pratica forma di mutuo soccorso in cui una donna sola e un uomo solo univano le loro forze per crescere degli orfani. In ogni caso a me è rimasta questa idea di famiglia come un posto dove ci si aiuta, e che può prendere non una ma tante forme.

Anche Antonacci non ha messo su una cosiddetta famiglia tradizionale, non ha sposato nessuna delle sue compagne (perché finora ha sposato solo la musica, come canta nel brano Ho la musica nel cuore), ha due figli nati dall’unione con Marianna Morandi e ha cresciuto la figlia dell’attuale compagna Paola, la piccola Benedetta. Nonostante qualche senso di colpa, si considera comunque un buon padre e compagno.

Non mi sono mai sposato, ho fatto due figli con una donna con la quale non condividevo nemmeno la residenza scritta sui documenti, mi sono separato da lei e adesso sto con Paola, senza nessun legame formale, vivo con lei e sua figlia e mi ci sento padre, anche se non lo sono per legame biologico (…) sembra che io abbia dato un calcio a ogni forma di tradizione. Ma invece delle cose dentro le ho, e sono venute fuori soprattutto nella forma del senso di colpa ogni volta – ed è stato per scelta – in cui mi sono discostato da “quello che avrei dovuto fare”.

Da padre che ha sperimentato il rapporto con una figlia non biologicamente sua, Antonacci sottolinea che i rapporti di sangue sono solo una delle forme di legame possibili. E spesso nemmeno quella determinante per la creazione di un rapporto di affetto e fiducia. Una bella lezione in un paese in cui si interroga ancora sull’opportunità di garantire diritti a tutte le famiglie.

Io da 12 anni vivo con Benedetta, la figlia di Paola. Ti hanno detto che papà vuol dire che quel figlio l’hai fatto tu, quindi io so che non sono suo padre, anche se per lei ho avuto l’amore e le attenzioni di ogni papà. E poi quando ci raggiungono anche i miei figli – Paolo ha 20 anni e Giovanni 15 – siamo semplicemente una famiglia, e loro sono fratelli, anche se non si chiamano così e anche se non hanno un legame di sangue. A loro non è mai importato niente, non hanno mai avuto bisogno di dare un nome al rapporto: per i bambini le cose sono intuitive. (…) Con quelli non tuoi hai attenzioni anche superiori, più morbidezza. Forse perché sai che possono sempre dirti: che vuoi da me? Tu non sei mio padre. Benedetta non me l’ha mai detto, ma avrebbe avuto ragione, nel caso.