Cannes 2016, in concorso oggi c’è il cinema politico di Ken Loach

Cannes 2016 Ken Loach in concorso

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Dopo la sbornia hollywoodiana di ieri di Money Monster, con la passerella dei divi, George Clooney accompagnato sul red carpet dalla moglie Amal, Julia Roberts e Jodie Foster, il terzo giorno a Cannes cambia tono, a partire dal concorso con l’amatissimo habitué Ken Loach che presenta I, Daniel Blake, all’insegna del suo cinema di scarna e antiretorica politica, e un autore raffinato, talora decisamente ostico, come Bruno Dumont, che stavolta presenta quella che sulla carta sembra una commedia stralunata e sottilmente inquieta, Ma loute. Ma oggi, nella Quinzaine des Réalisatueurs, c’è nahce l’atteso Neruda di Pablo Larraín, protagonista Gael García Bernal.

I, Daniel Blake, di Ken Loach, in concorso


Avevamo lasciato Ken Loach due anni fa con quello che pareva dovesse essere il suo ultimo film, Jimmy’s Hall, semopre una storia politica ma molto più elegiaca, con quella ricostruzione addolcita del mondo della sinistra irlandese degli anni Venti. Ci poteva stare, vista anche l’età del venerato maestro una chiusa del genere. Invece Loach ancora una volta sorprende, e alle soglie degli ottant’anni recupera il suo spirito battagliero per I, Daniel Blake, la sua tredicesima presenza in concorso al Festival di Cannes, coadiuvato dal fido sceneggiatore Paul Laverty.

Una storia che immette la sua classe operaia nel ciclone della contemporaneità più spinta. Il povero Daniel Blake, interpretato dallo standup comedian Dave Johns, è un falegname che ha un attacco di cuore e non può più lavorare. Da qui parte il suo calvario nei meandri della burocrazia, perché non basta essere malati ma bisogna avere le carte che lo dimostrino. Ma la burocrazia ormai è completamente telematizzata e si fa tutto on line, e l’impresa diventa difficilissima per un uomo di un’altra generazione che non ha internet, lo smartphone e non sa usare neanche il computer della biblioteca pubblica.

Alla spersonalizzante era 2.0 lui risponde nell’unico modo che conosce, quello dell’attenzione umanissima agli altri, e lega con Katie, una giovane madre single assai in difficoltà con due figli per i quali Daniel diventa una sorta di padrino e li aiuta nel loro disastrato quotidiano. E dimostra che un uomo, anche se superato dall’euforizzante rivoluzione tecnologica, resta ancora un uomo: la ragione del titolo in prima persona, come il cinema sempre in prima persona di un autore alle volte ripetitivo forse, ma sempre coerente con se stesso.

Ma loute, di Bruno Dumont, in concorso

Bruno Dumont, un passato da professore di filosofia, è noto come uno dei più rigorosi cineasti francesi, ascetico radiografo di un mondo desolato e amorale che ha ritratto sin dagli esordi de L’età inquieta (1997) e L’umanità (1999). Con quest’ultimo aveva vinto anche il Gran Premio speciale della Giuria a cannes, riconoscimento doppiato con Flandres (2006). Qualcosa però sempre essere cambiato nel Dumont più recente, se non nella sostanza sicuramente nei toni, meno ostici e narrativamente più accoglienti. Il primo segno era stato nel 2014 P’tit Quinquin, un racconto sull’infanzia stralunato e bizzaro – anche se non privo di un suo sottofondo inquietante.

Adesso arriva a Cannes 2016 con Ma loute, un film che si preannuncia anch’esso pieno di umori (in Italia lo distribuirà Movies Inspired). Siamo in un’estate del 1910 nel Nord della Francia: ci sono delle misteriose sparizioni e un ispettore e il suo assistente, abbastanza improbabili, che conducono le indagini; e c’è anche una storia d’amore tra due persone di diversa estrazione sociale, il figlio d’un pescatore e la rampolla d’una famiglia altoborghese che sulla carta non sembra però delle più lineari, decadente e parecchio svitata. Il cast è ricco, con Fabrice Luchini, Juliette Binoche e Valeria Bruni Tedeschi (che vedremo anche domani per La pazza gioia di Paolo Virzì, che passa nella Quinzaine). Chi l’ha già visto cita Laurel e Hardy (per il duo di investigatori), un tono a metà tra la comicità di Jacques Tati e non-sense alla Alfred Jarry. Di sicuro non ci si aspetta da Dumont un film che segua pedissequamente le regole del genere.

Neruda, di Pablo Larraín, Quinzaine des Réalisateurs


Il cileno Pablo Larraín è un autore cinefilo celebrato e rigoroso, che con No – I giorni dell’arcobaleno qualche anno fa riuscì a intrigare anche il pubblico non festivaliero, anche grazie al protagonista Gael García Bernal. La coppia si ricostituisce per Neruda, incentrato sulla vita del grande poeta cileno. Ma, secondo una strategia ormai sempre più comune per i biopic, la biografia riguarderà una porzione assai limitata della sua vita, uno scarso biennio tra il 1946 e 1948, quando Pablo Neruda (interpretato da Luis Gnecco) accusò il governo cileno di violare i diritti umani d’un gruppo di minatori in sciopero. E Bernal impersona il prefetto dimidiato tra la comprensione della grandezza dell’artista e il suo ruolo istituzionale.