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Home Cinema

Le confessioni: un brutto giallo metafisico col monaco Toni Servillo

Al summit tra i potenti della Terra muore il direttore del Fmi. Chi l’ha ucciso? E cos’aveva confessato al frate? Roberto Andò firma una riflessione sul potere pervasivo dell’economia. Ma prende la via del racconto filosofico e simbolico, senza una vera storia. E inevitabilmente snocciola banalità.

di Stefano Fedele
22/04/2016
INTERAZIONI: 24

INTERAZIONI: 24

Le confessioni giallo metafisico con Toni Servillo

Ancora devono scorrere i titoli di testa e già in meno di un minuto Le confessioni di Roberto Andò ci ha ammannito una quantità di simboli che la metà basta. Vediamo il monaco Salus (Toni Servillo) ripreso attraverso una vetrata che ne deforma l’immagine; poi riascolta sul registratore portatile dei versi della tenera ’A Madonna d’ ’e mandarine di Ferdinando Russo; infine osserva interrogativo un fachiro intento nel classico trucco della levitazione. E già si capisce che questo sarà un film tutto enigmatico, poetico, misterioso, miracoloso.

Salus è stato invitato come ospite, insieme a una scrittrice di bestseller per l’infanzia (Connie Nielsen) e una rockstar politicamente impegnata (Julian Ovenden) al summit del G8 con i ministri delle più potenti economie mondiali (per l’Italia c’è Pierfrancesco Favino), presieduto dal direttore del Fondo Monetario Internazionale, Daniel Roché (Daniel Auteuil). Sede dell’incontro ne Le confessioni è un albergo tedesco dai grandi spazi impeccabili, impersonali e asettici, cioè proprio la location che ci si aspetta per politici ovviamente algidi e scostanti. L’hotel ha anche un affaccio sul brumoso mar Baltico, con pontili aggettanti verso il nulla che donano un ulteriore tocco metafisico all’insieme, che non guasta.

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Roché ha invitato Salus perché, avendo letto un suo libro, ha capito che è l’uomo giusto col quale confessarsi. Nella riunione stanno per essere prese decisioni determinanti per il futuro dell’economia mondiale e il banchiere ha forse qualche peso sulla coscienza di cui vuole alleggerirsi. Sfortunatamente il mattino seguente alla loro conversazione Roché viene trovato morto. E Le confessioni diventa un giallo: i ministri devono scoprire il colpevole, ma soprattutto vogliono estorcere a Salus quanto gli ha detto Roché, perché le sue dichiarazioni potrebbero avere enormi conseguenze. Ma si sa, c’è il segreto della confessione e Salus non può, e non vuole, parlare. Da qui parte un balletto di confronti: col monaco e la scrittrice in rappresentanza delle ragioni della poesia e dell’umanesimo, quindi del buon senso; e dall’altro i politici, chi impietoso come di prammatica, chi invece resipiscente e attraversato da dubbi circa le gravi decisioni da prendere (che sono l’unico ministro donna, perché si sa, le donne son sentimentali; e Favino, perché gli italiani in fondo sono brava gente).

Ma quali sarebbero queste gravi decisioni? Le confessioni su questo tace: come tace su qualunque puerile dettaglio che dalle altezze siderali e pensose della metafisica volesse abbassarsi alla banalità delle cose del quotidiano. Per cui, per quasi due ore, non si fa altro che assistere a conversazioni speciose e teoriche incardinate su concetti impalpabili e generalissimi. Il tutto condito generosamente di citazioni che servono a imprimere sul film l’inequivocabile etichetta del cinema d’autore. E allora, dato che si parla del segreto della confessione, a un certo punto si parla di Io confesso di Hitchcock; per far capire che Salus è un religioso eterodosso gli si infila nella borsa L’essenza del cristianesimo di Ernesto Buonaiuti (!); il banchiere Roché cita Keynes e tutti citano continuamente poeti o sant’Agostino; e i dialoghi son pieni di frasi memorabili scolpite nel marmo (“Nessuno merita lodi per le sue buone azioni, se non ha il coraggio di essere cattivo”; “La vita mi appare tollerabile solo se riesco a schivarla”).

In questo guazzabuglio che è Le confessioni (e già il titolo pretenzioso doveva mettere sul chi va là) Servillo gioca di sottrazione e così almeno in parte si salva dal ridicolo involontario di un film che filosofeggia in modi del tutto astratti su anima, potere, tempo, democrazia. Per far capire che “il denaro è lo sterco del diavolo”, come diceva san Francesco, si fa vagabondare per l’albergo il miliardario padrone dell’hotel, malato di Alzheimer, che non ricorda più le password del conto in banca: un’allegoria sferzante dell’inutilità della ricchezza. E a proposito del frate di Assisi c’è anche un momento “san Francesco e il lupo”, con Salus (ma non era dell’ordine dei Certosini?) che ammansisce un cagnaccio. Le confessioni è un film in cui nettissima è la distanza tra ambizioni e risultati. Probabilmente è destinato a diventare uno stracult, con quella sua aria un po’ Todo Modo un po’ Sorrentino ultima maniera, condito persino di morettismi (la sospensione musicale coi ministri che intonano Walk on the wild side). Una conferma in negativo per Andò, dopo Viva la libertà.

Tags: cinema italianoDaniel AuteuilToni Servillo

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