Criminal: Kevin Costner si trasforma in un killer spietato

Un personaggio lontanissimo dal solito per l’attore americano nel cyber-thriller di Ariel Vromen. Costner è un criminale sociopatico a cui la Cia innesta nel cervello la memoria di un agente morto. Un action movie di routine, a cui solo lo sguardo malinconico di Costner regala qualche lampo.

Criminal Kevin Costner si trasforma un killer spietato

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Il mito della seconda occasione nella cultura americana è intramontabile. Allora può succedere, come in Criminal, che un criminale sociopatico – il direttore del carcere ne tratteggia un profilo minacciosissimo: “zero empatia, è incapace di provare sentimenti” – si trasformi in un uomo diverso. Se poi ha il volto malinconico e inequivocabilmente “giusto” di Kevin Costner, la cosa diventa ancora più credibile.

Per compiere il miracolo ci vuole l’ingegneria genetica che piace tanto oggi ai film hollywoodiani. Criminal di Ariel Vromen parte con una sequenza alla James Bond, con l’agente della Cia Bill Pope (Ryan Reynolds) braccato da un gruppo di terroristi anarchici che mirano alla rivoluzione mondiale. Pope viene ucciso, ma prima riesce a nascondere una borsa che contiene un segreto essenziale.

Per recuperarlo il direttore della Cia (Gary Oldman) pensa bene di riportare in vita Pope, o meglio la sua rete neuronale, da innestare nel cervello di un altro uomo grazie a una procedura sperimentale inventata dal dottor Franks (Tommy Lee Jones) – ogni riferimento a Frankenstein non è puramente casuale. La cavia, non si sa bene perché, è Jerico Stewart (Costner), che in carcere è tenuto sotto una sorveglianza che manco Hannibal Lecter.

L’operazione in Criminal consiste in una “stimolazione di cellule staminali neuronali”, definizione che fa indubbiamente un certo effetto. L’intervento va a buon fine ma il paziente riottoso scappa: e si percepisce diviso in due, perché una parte del suo cervello è occupata dalle memorie di Pope. Che lo mettono sulle tracce della soluzione del caso, collegato a un misterioso hacker olandese (Michael Pitt). Ma che lo portano anche dalla vedova di Pope (Gal Gadot) e sua figlia. La bambina incrina l’anima selvaggia del gigante cattivo e lo spinge nell’inesplorata terra dei sentimenti. Intanto la Cia e il fanatico terrorista (Jordi Mollà) sono sulle sue tracce. E Jerico non è esattamente misericordioso.

Criminal è un guazzabuglio fantapolitico: c’è il solito complotto per la distruzione del mondo, il terrorista macchiettistico e l’hacker che col computer portatile aziona come niente i missili dei sottomarini. Per corroborare il funesto scenario di una società del controllo Vromen utilizza una metafora delicatissima, nascondendo il borsone dietro i libri distopici di George Orwell. E aggiunge dosi massicce di violenza, piuttosto dissonanti con il personaggio classico di Costner. Che qui s’immerge come può in questo carattere nerissimo, cui regala un espressione feroce ma piena di rimpianti per la vita che non ha potuto vivere. E inevitabilmente la memoria corre, anche per il rapporto con la bambina, alla sua interpretazione più struggente, Un mondo perfetto di Clint Eastwood.

Ma vanamente in Criminal si cercherebbero quelle finezze di racconto, che si ricollegavano all’altro mito americano dell’immagine del loser. Qui mancano completamente le sfumature e le mezze tinte necessarie per costruire una vera elegia. E restano solo i lampi negli occhi di Costner e in certe espressioni meditabonde di Tommy Lee Jones a ricordarci un umanesimo dello sguardo che non ha cittadinanza nella routine ipercinetica di un cinema piatto e impersonale.