Consiglio: Gli intoccabili (The Untouchables, 1987) va guardato facendosi trascinare dal grande spettacolo, perché è costruito per essere un grande spettacolo. È vero, il suo autore è Brian De Palma, vale a dire uno dei registi più colti e cinefili della generazione dei cosiddetti “movie brats” (con Scorsese, Spielberg, Coppola, Lucas, Milius). Per cui viene subito la tentazione di scomporre chirurgicamente il film, a caccia dei significati reconditi di quella che non può non essere una raffinata operazione teorica sullo statuto finzionale delle immagini nel cinema degli anni Ottanta.
In fondo è quello che De Palma ha sempre fatto. Basti pensare, per restare nello stesso decennio, a Blow out (1981), riflessione sull’uso del sonoro, che ci interroga sull’affidabilità e la veridicità delle cose (al cinema e non solo); oppure Omicidio a luci rosse (titolo italiano pruriginoso per Body double, 1984), che parlando di controfigure e guardoni pone domande abbastanza disturbanti sull’identità personale e la natura ambiguamente voyeristica dello spettatore cinematografico.
Un autore quindi molto consapevole, che inoltre ama riempire i suoi film di riferimenti e citazioni: il feticcio Hitchcock su tutti, ma pure, restando ai due film citati, l’Antonioni di Blow up e il Coppola de La conversazione. Anche Gli intoccabili è una miniera di rimandi, a partire dalla serie televisiva omonima di fine anni Cinquanta cui il film s’ispira per raccontare la storia vera di Eliot Ness, l’agente federale che mandò Al Capone in galera. E Capone significa subito gangster movie, cioè uno dei generi cinematografici che hanno fondato la Hollywood classica a cominciare da Scarface, il capolavoro di Howard Hawks che proprio De Palma aveva rifatto nel 1983 in un remake aggiornato con un Pacino spiritato e incontenibile.
Ma con Gli intoccabili il regista fa qualcosa di diverso. I materiali di partenza sono quelli suoi caratteristici da cinefilo incallito, è vero. Ci sono persino un sontuoso rifacimento della scena della scalinata de La corazzata Potëmkin e un inserto da film di cowboy con gli agenti federali a cavallo, a conferma di quanto De Palma dichiarò: “È come un western di John Ford. Il buono ha una missione da compiere e cerca aiuto. E alla fine se ne va camminando nel tramonto”.
A cambiare però è il modo il cui De Palma usa questi elementi: che vengono semplificati, eliminando ambivalenze e sottigliezze, funzionalizzati all’unico scopo di costruire un racconto trascinante, che riesce a emozionare sebbene si tratti di una vicenda di cui conosciamo in anticipo la conclusione. Non c’è ambiguità nei personaggi de Gli intoccabili: Eliot Ness, incarnato da un giovane Kevin Costner, è l’eroe inflessibilmente determinato a compiere il proprio dovere, con l’ingenuità e l’incorruttibilità di un Gary Cooper, che trae forza dalla presenza d’una moglie costantemente dolce e sorridente. Robert De Niro, d’altro canto, tratteggia un Capone non mefistofelico, bensì un “cattivo cattivo” di tetragona brutalità, in un’interpretazione che è un capolavoro di gigioneria, con un’espressività sovraccarica quasi da cinema muto.
Sean Connery invece, che vinse l’Oscar col personaggio inventato di Malone, è lo scafato poliziotto di Chicago il quale sa che per sconfiggere Capone bisogna trasgredire la legge. E allora, come un mentore, educa Ness a utilizzare ogni mezzo possibile nella guerra contro i gangster, venendo a patti “col lato oscuro della forza” (e davvero, come è stato scritto, Connery sembra il vecchio Obi-Wan Kenobi).
Il film ha una struttura volutamente massimalista, composta in gran parte di scene madri e frasi memorabili (“che cosa sei disposto a fare”, “sei solo chiacchiere e distintivo”), le quali, tenuto conto anche delle musiche di Ennio Morricone, fanno pensare che forse per questo film Sergio Leone abbia rappresentato una consistente fonte d’ispirazione per De Palma.
Anche se a uno sguardo malevolo il gioco di citazioni de Gli intoccabili può sembrare persino accademico, il risultato dal punto di vista del piacere degli occhi è memorabile. L’impaginazione è calibratissima: Capone è sempre inquadrato dall’alto o dal basso in scenari ampi e fastosi, che ne enfatizzano la maligna grandezza, mentre, con contrappunto quasi musicale, Ness è ritratto in caldi interni domestici, momenti intimi che ne sottolineano la rettitudine e l’estraneità ai giochi di potere.
Gli intoccabili è un film costruito come una sinfonia, che giostra i colpi di scena con tale bilanciata maestria da scatenare invariabilmente la reazione emotiva negli spettatori, anche dopo molte visioni. Per questo consigliamo di vederlo così, facendosi catturare dalla sinuosa spirale visiva, silenziando per una volta i dubbi che possono affiorare dalla propria parte critica e censoria.