Trafficanti (War Dogs, 2016) di Todd Phillips è tratto da una incredibile storia vera raccontata da Rolling Stone. David Packouz (Miles Teller) ed Efraim Diveroli (Jonah Hill) sono due ventenni che si trasformano in commercianti d’armi approfittando, negli anni della presidenza Bush, della fame di rifornimenti bellici per la guerra in Iraq. Un affare dopo l’altro, arrivano a gestire una commessa governativa da 300 milioni di dollari, in cui si giocano reputazione, ambizioni, anima.
I due sono una versione degradata del sogno americano – o la sua incarnazione estrema – come lo Scarface di Al Pacino che campeggia su un poster nel loro ufficio, altro self made man il cui unico obiettivo è il successo. Proprio come David ed Efraim, che aggirano le questioni etiche argomentando che “non si tratta di essere a favore della guerra. Le guerre succedono. Qui si tratta di essere favorevoli ai soldi”.
Il commerciante d’armi è un mestiere paradossale, drammaturgicamente fecondo, come sapeva già l’Alberto Sordi di Finché c’è guerra c’è speranza. Trafficanti però vuole mettere da parte il moralismo, puntando sul grottesco d’una commedia acre in cui il giudizio critico dovrebbe emergere per antifrasi dal tono ridanciano, e perciò allarmante.
Reduce dall’enorme successo della serie Una notte da leoni – e infatti in Trafficanti c’è pure Bradley Cooper, anche produttore del film –, Todd Phillips accetta la scommessa di un film comico e acido su un tema serissimo. Nonostante le premesse, però, la scommessa è in gran parte persa. Il regista insegue un modello impari, The Wolf of Wall Street, da cui mutua pure il protagonista Jonah Hill. Che, come nel film di Martin Scorsese, consuma droga e sesso in gran quantità: ma questo non basta per replicare lo stile allucinato, adrenalico che rende quel viaggio nel capitalismo selvaggio uno sconfinamento in un territorio ambiguo nel quale ripulsa e attrazione si mescolano.
Oltretutto il personaggio del più moderato David, voce narrante del film, offre un controcampo al racconto che invece di affondare nel paradosso prende le distanze cedendo al tono giudicante. Tantomeno Phillips riesce, come un altro regista di commedia misuratosi col dramma, l’Adam McKay del notevole La grande scommessa, a inventarsi un linguaggio nuovo per raccontare una storia inaudita.
Trafficanti ha belle intuizioni: le immagini di soldati sulle quali compaiono in sovrimpressione i prezzi dell’equipaggiamento – perché è solo questione di soldi, come aveva capito lo Scorsese di Casino, che ci portava nel cuore pulsante dell’economia capitalista, Las Vegas, dove ovviamente si svolge anche la convention dei commercianti d’armi di Trafficanti. Oppure la sequenza in cui i due, recapitate le armi in un rocambolesco viaggio in Iraq, sono pagati in una base militare americana nel deserto che dispone di miliardi di dollari in contanti.
Purtroppo Trafficanti disperde queste potenzialità accumulando sequenze girate con l’idea di diventare memorabili, con una colonna sonora ruffiana di pezzi troppo noti (Creedence, Iggy Pop, Pink Floyd, Who). Così il risultato è un film già visto e già sentito, che sotto la superficie acre dispensa un opaco moralismo che non riesce a farsi riflessione morale.