Eurovision 2016 è giunto alla sua giusta conclusione, con la vittoria di Jamala e la sua 1944. Contro ogni pronostico, l’Italia di Francesca Michielin torna a casa con un inaspettato 16° posto, portando con sé quel filo di amarezza tipico degli sconfitti.
Nella serata in cui tutto può succedere, tra fuoco e lustrini, Francesca Michielin ha portato sul palco la semplicità di una ragazza di 21 anni. Troppo poco per uno show che ha grandi pretese di stupire, come dimostrato dalla spettacolare performance del russo Sergey Lazarev, candidato alla vittoria fin dal primo momento.
La nostra rappresentante è stata all’altezza delle aspettative che il suo entourage si è posto alla vigilia, portando sul palco se stessa e il messaggio per l’Europa. In uno spettacolo in cui le classifiche non contano, tanto da poter essere ribaltate all’ultimo minuto, Francesca Michielin ha dimostrato che l’Italia non è ancora pronta a questo tipo di organizzazione.
Da un lato, la tradizione del Festival di Sanremo – fin troppo radicata nella nostra cultura – distoglie l’attenzione dalla preparazione a un evento che ancora si definisce trash ma che in Europa è la manifestazione canora più amata; dall’altro, l’inevitabile esclusione del nostro paese dalle dinamiche di alleanza tipiche delle lobby estere, che spesso assegnano i punti a disposizione più per buon vicinato che per gusto artistico.
La tendenza tutta italiana a correre all’impazzata e staccare l’ultimo biglietto rimasto per un concorso della portata assunta da Eurovision Song Contest negli ultimi anni è costato ancora un posizionamento non soddisfacente, che non dipende esclusivamente dal brano presentato quest’anno.
Francesca Michielin è una giovane artista che ha davvero fatto il massimo per dare lustro al nostro paese, portando a casa una buona performance. Superato anche lo scoglio dell’inglese, che la cantante di Bassano del Grappa ha aggirato con un mash-up di Nessun grado di separazione, non ci resta che interrogarci sulle motivazioni che hanno condotto l’Italia così lontana dalle prime posizioni.
L’Italia che l’Europa si aspetta è quella del bel canto, non necessariamente quella che spettacolarizza le performance o canta in inglese. A dimostrazione di ciò, ricordiamo il terzo posto de Il Volo, che lo scorso anno conquistarono il podio con Grande Amore. Non rimane che chiedersi quale peso voglia dare l’Italia a Eurovision Song Contest e fare i complimenti a Francesca Michielin, che ha rappresentato l’Italia in maniera impeccabile.
In tutta onestà io avevo ben paventato uno scenario del genere: non ci voleva un genio per capire che la Michielin non avrebbe vinto. Pensavo che si sarebbe piazzata fra i primi dieci e magari non sedicesima, ma c’era da aspettarselo che non avrebbe potuto farcela. Bravina d’accordo, ma oggettivamente non così originale nè vocalmente nè stilisticamente da fare la differenza. Il suo pezzo infatti, seppur carino, era fin troppo omologato con le mode attuali e l’inutile e insensata scelta di tradurre una parte del testo e addirittura di cambiare il titolo in inglese per velleità “international” (sic!) hanno fatto il resto . Una canzone carina semianglofona come mille altre all’Eurovision, che sa di già sentito, segno che il “musicalmente” e il “linguisticamente” corretto non paga mai, e il caso de Il Volo dello scorso anno lo ha ampiamente dimostrato. Io non sono una loro fan, e la loro canzone l’ho trovata a suo tempo stereotipata e di bassa lega per i miei gusti, però aveva un pregio:nel bene e nel male era comunque una canzone identitaria, era altro rispetto al resto delle canzoni in gara, e la brillante performance vocale dei tre ragazzi l’ha valorizzata. E infatti si sono piazzati terzi, sono stati primi al televoto, e avrebbero potuto tranquillamente vincere se non fosse stato per la giuria di qualche paese della santa alleanza pangermanica che come può ci rema sempre contro. Per farla breve, Il Volo per diverse ragioni spiccava, la Michielin no, questo è il punto. E francamente preferisco tenermi Sanremo pur con tutti i suoi limiti, che in qualche maniera rispecchia i gusti dell’Italia, piuttosto che privilegiare un carrozzone mediatico paneuropeo dove la maggior parte dei paesi cantano canzoni in un inglese coatto e commerciale invece che nella loro lingua madre, e dove prevalgono più le dinamiche geopolitiche anzichè la qualità musicale.
La canzone che ci rappresentava era semplicemente non adatta a questa manifestazione. Senza personalità e abbastanza piatta, può andare bene solo per i fans italici. Ci vuole ben altro peremergere a livello europeo!