Eccoli di nuovo lì, su uno schermo, larve luminescenti. Ogni tanto accendono, su mia sollecitazione. Mi guardano. Hanno gli occhi spenti, esausti. Ti, parlano, quegli occhi, di un tradimento troppo profondo, che niente può giustificare. Li hanno trattati come elastici, come fisarmoniche, come burattini. E’ dallo scorso marzo che li hanno chiusi di fronte a uno schermo, poi costretti alla pagliacciata della Dad, una scuola dove il 50% seguiva in presenza e 50% da casa col risultato che nessuno dei due gruppi apprendeva, a meno che il docente non facesse una scelta, impossibile come quella di Sophy: silenziare uno dei due.
Poi li hanno di nuovo serrati a casa. Poi rimandati in aula sempre al 50 %, stavolta il gruppo classe completo, ma con metà delle classi presenti. A turno. E non pareva vero a questi ragazzi di rivedersi in un contesto di apprendimento. Erano così felici, vivaci, con tanto di mascherine, da risultare quasi ingestibili. Si sorridevano sotto la garza, si parlavano, e far lezione, con brusii continui ma non individuabili, era pressoché impossibile. Ma li lasciavi fare, perché sapevi che la scuola è una comunità di apprendimento, sì, ma anche di socializzazione ed era quest’aspetto che più avevano sofferto, che li stava facendo ammalare.
Ora, a rivederli dietro uno schermo, ti si stringe il cuore e anche il tuo, di cuore, è provato. Perché anche tu hai un ragazzo a casa e vedi la sua sofferenza su quei volti e ti sembra che si moltiplichi per mille.
Anche raccontare loro che è l’ultima volta, che è l’ultimo sforzo, che la scuola della Costituzione tornerà, presto tornerà, è una beffa che non vuoi infliggere; perché, se tu stessa ti senti defraudata, beffata? Come fai a ingannarli se non inganni te stessa? Allora, ecco, ragazzi, facciamo la quinta declinazione, è l’ultima, parliamo del sostantivo res, che è così plastico, così flessibile, sapete, significa “cosa”. Sì, e da questo sostantivo deriva il verbo reificare. E, vuol dire… Ti guardano inerti, lo sanno già cosa vuol dire, povere anime ridotte a cose, cose da chiudere in una stanza, tirare fuori, riaccantonare, senza tanti scrupoli.
E ti nasce dentro la disperazione che devi assolutamente nascondere, le loro antenne vibrano ancora, ti sentono. Devi far loro coraggio. Interessarli. Coinvolgerli.
Idioti.
Come si è potuto permettere che sette milioni di ragazzi rifinissero in questo tunnel digitale? E come si è potuto pensare che la scuola fosse reversibile on line senza nessun tipo di aggiustamento orario?
L’anno scorso, a marzo, ci furono delle raccomandazioni. Non più di tre quattro ore al giorno di collegamento. Poi la dad è stata contrattualizzata e un orario scolastico che in alcune giornate conta anche sei ore di didattica è stato travasato in digitale. Sei ore attaccati allo schermo. Poi nessun momento, nessuna modalità per socializzare che non sia ancora e di nuovo su uno schermo.
La follia degli adulti. La follia di una pandemia che vuole salvare il corpo ma tormentare la mente e il cuore.
Le indicazioni nazionali e regionali da un anno cambiano senza requie, un semaforo impazzito di colori che si intensificano e sfumano senza soluzione di continuità e in questo trascolorare travolgono la sorte delle persone che vi incappano.
I ragazzi hanno mostrato pazienza, resilienza, flessibilità; i più motivati hanno cercato di far di necessità virtù. Ma sono ragazzini. E’ vero che li avete preparati da anni a una socialità sempre più bidimensionale, ma era la scuola l’ultimo baluardo, l’ultima resistenza alla marea della rivoluzione tecnologica, nell’aula il tempo magicamente tornava indietro. La scuola dove ancora spesso si scrive a penna, rafforzando la connessione mente-mano, dove si socializza vis a vis, dove si creano amicizie destinate a durare una vita. Chi se li scorda più, gli anni di scuola, il liceo, i cento giorni, l’ansia delle interrogazioni, la tremarella degli esami. Dove è ora questa scuola?
Ce l’hanno scippata. L’erosione, partita temporibus illis, ha intaccato gli spazi fisici, la scuola è diventata un’entità incorporea, persa in qualche worm dello spazio tempo, una scuola liquida, che c’è sempre e non c’è mai. Iniziando a destrutturare così anche il concetto di individuo.
Una scuola che fa male, dove gli apprendimenti non sono rilevabili, dove la metodologia regredisce alla mera lezione frontale, dove i più ingegnosi tra i docenti, pur sforzandosi, non riescono ad attuare modalità didattiche davvero coinvolgenti, che sedimentino nella psiche, per via amorosa, come dice qualche scontato luminare, il sapere.
L’approfondimento dei programmi non è lo stesso.
Lo dicono i neurobiologi come Manfred Spitzer. Lo dice uno studio olandese, i ragazzi hanno perso circa un terzo degli apprendimenti programmati. E in quel Paese la Dad è stata utilizzata meno della metà che in Italia.
E se la Dad viene accolta di buon grado da un terzo dei ragazzi, è solo perché la paura si è incrostata anche nella loro anima, e un’inerte apatia è scesa nei loro cuori.
E aumentano i casi di hikikomori, ragazzi che recidono ogni cordone col mondo, alimentandosi in modalità virtuale, sorta di autismo indotto che lascerà inevitabili strascichi, ferite forse insanabili. Non è un caso che da quando c’è la Dad siano aumentate in modo esponenziale le chiamate di adolescenti a Telefono Azzurro.
La Dad fa male. Non lo dico solo io, da docente, ma tanti studi: una recente ricerca del Gonski Institute for Education dell’University of New South Wales, in Australia, elenca i danni legati all’esposizione prolungata a questa modalità didattica: disturbi dell’attenzione, di apprendimento, ansia, ipertensione, solitudine, insonnia, stress e attacchi di panico, depressione e problemi emotivi. E mentre si criminalizzano i ragazzi che si ribellano e si riuniscono in qualche casa, si elogiano questi innocenti che pian piano stanno perdendo contatto con la vita vissuta, con la realtà.
La dad, caro ministro Bianchi, non può essere che un surrogato, un espediente che, come tutte le soluzioni emergenziali, dovrebbe avere una durata limitata.
La misura è stata da tempo colmata eppure voi insistete, con un accanimento che di terapeutico non ha proprio nulla; insistete a tormentare chi ancora non può andare alle urne e votare. A diciotto anni? A sedici? Non è questo il punto, il punto è arrivarci prima o poi e io spero solo che un domani, quando sarà, questi corpi deserti, questi studenti traditi se lo ricorderanno.