Quando Space Oddity di David Bowie suonò per la prima volta negli apparecchi domestici, probabilmente, l’uomo non era ancora pronto. L’11 luglio 1969 mancavano 5 giorni alla missione Apollo 11 che portò gli Stati Uniti alla conquista della Luna e il Duca Bianco volle giocare d’anticipo.
Space Oddity, oggi, fa parte di una narrazione storica dell’alienazione. L’uomo lascia dietro di sé ogni circostanza e ogni zona di comfort che fino a quel momento lo hanno protetto e imprigionato e sceglie lo spazio profondo come traguardo di elevazione, conquista e abnegazione.
Il risultato, 51 anni fa, fu tutto in quel synth che accompagna il primo accordo che apre il canto: “Ground control to Major Tom”. Il Do maggiore scivola sul Mi minore, una soluzione che sa di rassegnazione consapevole. Space Oddity di David Bowie racconta 5 minuti di sospensione nel vuoto. Major Tom passa in rassegna un ventaglio di emozioni che viaggiano dall’effetto sorpresa all’abbandono. Dalla torre di controllo perdono il segnale e Major Tom non ritornerà sulla Terra.
In differenti occasioni David Bowie offrì la chiave di lettura del suo testo, incenerendo le insinuazioni sui riferimenti alle droghe: “Space Oddity racconta l’alienazione, il sentirsi soli”. Major Tom è figlio di un’epoca di grandi conquiste tecnologiche ma quando lascia la Terra, durante la sua missione, si rende conto di essere l’oggetto di un’evoluzione che lui non ha scelto e per questo decide di restare lì.
La Terra che vede Major Tom è “blu”, lo stesso colore che disse di vedere Jurij Gagarin nel 1961, ma dobbiamo ricordare che gli anglofoni usano il termine blue anche per indicare qualcosa di triste e desolato come il Blue Monday di cui parlarono i New Order.
Oggi Space Oddity di David Bowie è una letteratura del nuovo superuomo, l’unico nel suo contesto, perso nello spazio e che tutti immaginiamo ancora di raggiungere.