Killers Of The Flower Moon di Martin Scorsese, la banalità del male dell’uomo bianco (recensione)

Forse la migliore interpretazione di Robert De Niro nell’ultimo decennio, una regia che vuole esprimersi a pieno e non solo intrattenere. Il film di Scorsese ha un ritmo lento e dimenticato dal cinema degli ultimi anni, governato com’è oggi esclusivamente dal Dio algoritmo. Killers Of The Flower Moon mostra una catena di omicidi in una comunità di nativi americani: una visione non per tutti i palati, ma di altissima qualità e impatto emotivo


INTERAZIONI: 92

Il sole tramonta ad ovest nella Oklahoma rurale in Killers Of The Flower Moon di Martin Scorsese, un film sulla brutalità, l’invidia, ma anche la banalità del male dell’uomo bianco.

Tratto dall’omonimo libro di David Grann, il lungometraggio racconta dei crimini realmente perpetrati a scapito degli Osage. Svariati membri di questo gruppo di nativi americani infatti, furono brutalmente assassinati nel silenzio generale di un’America, oggi come ieri, fortemente razzista e classista. Ma l’odio non è l’unica ragione delle violenze.

Il Governo U.S.A.  infatti, nel continuo spostamento che impose alle tribù di nativi americani, costrinse gli Osage ad emigrare in Oklahoma nel corso del XIX secolo. Quello che non sapeva nel 1897, era che in quella riserva assegnata ai nativi si nascondesse un enorme giacimento di petrolio.

Una delle scene iniziali del film, dal grandissimo impatto visivo ed emotivo, è proprio quella della riedizione di una danza in slow motion dei nativi americani, sotto una liberatoria pioggia di petrolio che sgorga con vigore direttamente dal terreno della riserva. Quella degli Osage quindi, diventò la comunità più ricca degli Stati Uniti d’America. Niente poteva attirare di più le invidie di una famiglia violenta, razzista, massonica e senza scrupoli. 

LA TRAMA

Siamo negli anni ’20 del ‘900 e William Hale (Robert De Niro) è l’apprezzato vice sceriffo della comunità. Consiglia, collabora, aiuta, è un punto di riferimento indiscusso per gli Osage. Nel tempo ha visto crescere tanti membri degli Osage, compresa la giovane Mollie (Lily Gladstone). Un giorno suo nipote Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio) torna dalla guerra in cerca di lavoro e sistemazione.

Zio William Hale gli trova impiego come autista ed è così che conosce Mollie, accompagnando la ricca e bella ragazza in giro, indaffarata com’è ad occuparsi dell’anziana madre e delle sorelle. Scocca la scintilla tra i due, con qualche diffidenza. Mollie sa bene che tutti quelli che in città non sono Osage, sono interessati solo ai soldi provenienti dall’utilizzo dei giacimenti petroliferi. Ma l’attrazione per l’uomo bianco sembra inarrestabile per lei, per le sorelle e per tanti Osage. Un abbraccio che si rivela mortale, qualcuno pensa che la scelta migliore sia infatti sposare le donne native americane, attendere la loro morte ed ereditare tutto.

Cominciano omicidi nella piccola cittadina di Fairfax, dove la polizia colpevolmente non muove un dito perché in fondo “A chi diavolo interessa la morte di un pellerossa?”. Tra visioni di morte della cultura dei nativi americani, ultimi rimandi ad una cultura che cede il passo agli accessi, all’alcol, al gioco che li renderà schiavi, si scaglia la figura ora amica, ora insensibile e calcolatrice di William Hale. Tutti tentativi di Mollie, di fermare gli assassinii e trovare i colpevoli, sembrano andare a vuoto, fino a quando in città non arrivano gli agenti dell’ F.B.I, una nuova agenzia diretta da un tale e sconosciuto J. Edgar Hoover. I federali sono decisi ad andare fino in fondo e risolvere i casi di omicidi commessi e quelli che si stanno nel frattempo premeditando.

Killers of the flower moon

IL FILM

Martin Scorsese ha deciso di girare il film mentre stava ancora lavorando al suo The Irishman. Aveva appena finito di leggere il libro di Grann, che racconta la storia di questo massacro dimenticato. In un primo momento non pensava di essere il regista idoneo. Inoltre anche gli Osage erano scettici riguardo ciò che ne sarebbe venuto. Poi le cose sono andate per il verso giusto: i particolari della cultura Osage sono stati curati nei minimi dettagli, dai nomi agli indumenti, dal linguaggio alle scelte dei personaggi, tutto è passato per l’avallo dei membri della comunità Osage. Soprattutto ciò che riguardava le vittime degli omicidi è stato messo sotto la lente d’osservazione, visto che i discendenti vivono ancora nella regione e parlano dell’intera vicenda poco e malvolentieri.

Rispetto alla trama del libro e alle scelte inziali dello stesso Scorsese, il punto di vista della narrazione è stato cambiato. Andando in fondo alla storia e rimaneggiando più volte la sceneggiatura, il regista ha infatti deciso di raccontare la storia dal punto di vista di Ernest e del suo rapporto con Mollie. Una storia di amore, dipendenze e frustrazioni. La scelta di narrazione iniziale invece, quella del best seller, era dal punto di vista dell’agente dell’FBI Tom White, interpretato magistralmente da Jesse Plemons, che fa la sua apparizione nel film solo nel terzo atto.

Così Leonardo DiCaprio è passato dall’essere candidato all’interpretazione dell’agente Tom White, all’interpretare Ernest Burkhart. La complessità del suo personaggio è notevole. E’ un debole, ma a tratti determinato, che oscilla in continuazione tra un amore sincero nei confronti della moglie e la paura dello zio. Qui vediamo un DiCaprio inedito, con i denti marci e un aspetto sofferente e malcurato che difficilmente abbiamo visto in altre sue interpretazioni.

Lily Gladstone è forse la migliore scoperta del lungometraggio Killers Of The Flower Moon. Scorsese ha deciso di ingaggiarla dopo aver visto l’attrice nel film Certain Woman di Kelly Reichardt. Il talento della Gladstone lo ritroviamo anche nel film di Scorsese, ma l’interpretazione vincente del film, che da solo vale il prezzo del biglietto, è senz’altro quella di Robert De Niro.

Il personaggio di De Niro è un calcolatore, affabulatore, massone, padre famiglia apprensivo, amico, confidente, difensore della comunità Osage e crudele ed insensibile stratega. Se quella del nipote Ernest è la “banalità del male” per dirla come Hannah Arendt, il personaggio di De Niro è l’impersonificazione dell’ambizione a qualsiasi costo e delle ciniche violenze perpetrate dall’uomo bianco contro i nativi americani.

IN CONCLUSIONE

I 206 minuti di film non procedono esattamente spediti. Killers Of The Flower Moon è un film che prende i suoi tempi, quelli decisi da un autore non schiavo degli algoritmi di Netflix o similia. Apple TV ha investito in un’opera che si sofferma molto sull’evoluzione (e non evoluzione) di alcuni protagonisti, mentre bypassa completamente la psicologia, il profilo e le motivazioni di alcuni personaggi principali, tra cui il fratello di Ernest e la madre di Mollie.

L’insulina poi, apparsa come nuova invenzione per la cura del diabete, al di là di ogni allegoria, è talmente presente all’interno del film da sembrare un feticcio. L’attore dell’anno, il premio Oscar 2022 Brendan Fraser, ha una particina all’interno della pellicola che sembra solo voler suscitare la sorpresa degli spettatori in sala, ma che non aggiunge il valore che poteva apportare uno spazio maggiore o una diversa scelta di dialoghi.

Il finale dell’ultimo film di Scorsese, allerta spoiler, è invece una citazione che ha il gusto del già visto. La scena dello show radiofonico americano tipico degli anni ‘50, registrato con il pubblico in sala, rimanda inevitabilmente ad altri e grandi film della cultura pop americana, primi tra tutti Radio Days (1987) di Woody Hallen e ovviamente il bellissimo ed indimenticabile Radio America (2006) di Robert Altman.

Vengono così snocciolate, con un “lo dimo” di Ferrettiana memoria, le ultime vicende che riguardano i protagonisti. A farlo è direttamente Martin Scorsese, attraverso un cameo ed alcune battute che ben descrivono in maniera austera l’epilogo della vicenda e che stridono volutamente con la presenza felice del pubblico bianco in sala e degli sponsor di sigarette che campeggiano nell’inquadratura.