Per consolarci dei magri risultati del cinema nostrano – due sole nomination a vuoto, per Alice Rorhwacher e Aldo Signoretti – si potrà comunque dire che agli Oscar 2023 c’è stato un pezzo di Italia. Perché la A24, la casa di produzione indipendente che ha centrato quasi tutti i premi più importanti, le sette statuette di Everything Everywhere All at Once e le due di The Whale, prende il nome dall’autostrada Roma-Teramo, percorrendo la quale il cofondatore Daniel Katz ebbe l’intuizione per il nome da dare alla sua nuova creatura che, incredibile a dirsi, ha solo dieci anni di vita.
La A24, di base nella più intellettuale New York e non nella rutilante casa del cinema hollywoodiana di Los Angeles, nei primi quattro anni di vita i film li ha solo distribuiti, cominciando a produrli dal 2016, mantenendo sempre un’impronta da cinema indipendente, con un catalogo coerente che in pochissimo tempo l’ha resa un brand dall’identità molto riconoscibile. Oggi agli Oscar 2023 questo progetto segna il suo precoce trionfo, che arriva con il suo più grande successo di sempre al botteghino – superando la soglia dei 100 milioni di dollari -, Everything Everywhere All at Once, diretto dal duo under quaranta dei Daniels, Daniel Kwan e Daniel Scheinert.
Capaci di portare a casa tutte le statuette più pesanti, miglior film, regia (la prima coppia dopo i fratelli Coen), e tre premi su quattro per gli attori: la protagonista Michelle Yeoh, che un po’ a sorpresa ha avuto la meglio su Cate Blanchett; Jamie Lee Curtis non protagonista, a scapito di Angela Bassett di Black Panther; e l’annunciato non protagonista Ke Huy Quan, redivivo ex divo bambino anni Ottanta dei Goonies e Indiana Jones e il Tempio Maledetto, il quale nel ricevere la statuetta giustamente dichiara “Questo è il vero sogno americano”.
E non finisce qui. Perché il quarto riconoscimento per l’interpretazione, protagonista maschile, va a Brendan Fraser per The Whale. Un’altra storia, come per Quan, di rinascita: e per Fraser, ex divo belloccio anni Novanta, anche più dolorosa e sentita, con un ruolo doloroso e sentito. Ed è comunque un altro premio targato A24, che il film di Darren Aronofsky l’ha prodotto, portando a casa anche un’altra statuetta per il trucco. Sacrosanta, visto l’enorme lavoro di prostetica.

Resta da capire, soprattutto a proposito di Everything Everywhere All at Once, se si tratti di un successo meritato e indice di cambiamenti rivoluzionari. Difficile, prima degli Oscar 2023, immaginare che un film simile, un frullato di stili demenziale e con punte di volgarità non da poco, potesse trionfare nella più tradizionale delle cerimonie del cinema. Certo, è pur vero che negli ultimi anni, al fronte di tante polemiche sulla composizione della giuria dell’Academy, dove erano sovrarappresentati i maschi bianchi anziani, l’organizzazione ha deciso per un imponente svecchiamento degli elettori, ammettendo in pochi anni migliaia di nuovi membri giovani e provenienti da ogni angolo del pianeta – oggi l’Academy sul suo sito parla orgogliosamente di “global membership”. Chiaramente i gusti di questi nuovi elettori sono diversi, molto più sintonizzati su un film indie che fa del pastiche stilistico il suo punto di forza, con una narrazione incardinata sul concetto assai di moda del multiverso e nel segno dell’inclusività – al centro della vicenda c’è una famiglia di origini asiatiche che combatte con le bollette.
Per qualcuno l’ottovolante di emozioni e continui salti di montaggio (altro Oscar) messo in piedi dai Daniels è un’opera graffiante e innovativa. Il nostro giudizio l’abbiamo già espresso in tempi non sospetti, ed è inappellabile, sembrandoci la forma più slabbrata e derivativa (molto anni Ottanta) che realmente originale, e il film tutt’altro che trasgressivo come parrebbe a prima vista. Tutto questo però poco importa: Daniel Kwan e Daniel Scheinert sono riusciti a imporre la loro visione, che era già intuibile dai videoclip realizzati in questi ultimi anni. E prepariamoci al recupero, come una gemma preziosa, del loro unico lungometraggio precedente, Swiss Army Man – Un Amico Multiuso, dalla vicenda non meno bizzarra.
C’è anche altro a questi Oscar 2023. Soprattutto le delusioni degli sconfitti. Della Blanchett e della Bassett abbiamo già detto. A proposito di quest’ultima possiamo sottolineare che la sua delusione si aggiunge ai malumori relativi alla totale assenza di premi agli interpreti neri. Le chances di Brian Tyree Henry come migliore attore non protagonista erano obiettivamente scarse. Ma Angela Bassett con Black Panther: Wakanda Forever è stata a lungo considerata la favorita d’obbligo, con un ruolo percepito come simbolicamente (politicamente?) rilevante, quello della volitiva regina madre. E invece sul rush finale è stata sopravanzata da Jamie Lee Curtis, attrice di lungo corso con anche il blasone familiare, figlia di Tony Curtis e Janet Leigh. La comunità di colore può almeno parzialmente consolarsi con lo storico exploit di Ruth Carter: la sua seconda vittoria per i costumi la rende la prima donna nera a ottenere due Oscar, entrambi vinti per i due episodi di Black Panther. Un risultato senza precedenti.

In tema di diversità va però sottolineata proprio la vittoria di Michelle Yeoh, prima donna di origini asiatiche a ottenere la stauetta per la protagonista. E lei la festeggia dicendo “Signore non lasciate che nessuno vi dica che avete superato una certa età” , rimarcando un altro tabù del mondo dello spettacolo, dato che l’attrice ha superato i sessant’anni, un’età alla quale per le generazioni precedenti di interpreti la carriera era finita da un pezzo.
Sottostimate in generale le donne agli Oscar 2023. Non senza qualche strascico polemico, alla vigilia era stata sottolineata l’assenza in particolare di registe in nomination, un netto passo indietro dopo i due consecutivi successi nel 2021 di Chloé Zhao per Nomadland e nel 2022 di Jane Campion per Il Potere del Cane. Perciò assume ancor più peso la vittoria di Sarah Polley per la sceneggiatura non originale – uno dei non numerosi premi al femminile della categoria nella storia dell’Academy – per Women Talking, film a tesi (anche troppo) sul tema dell’emencipazione delle donne, tratto dal romanzo omonimo di Miriam Toews e ispirato a una storia vera.
Ottimo il risultato di Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale con quattro premi su nove nomination (fotografia, film internazionale, scenografia, colonna sonora), unico capace di reggere all’urto di Everything Everywhere All at Once. Mentre è una débâcle per Gli Spiriti dell’Isola (0 su 9), Elvis (0 su 8, a partire da Austin Butler), The Fablemans (0 su 7, e può far sorridere che i Daniels battano Spielberg per la regia). La lista dei delusi quindi la si può estrarre da questi tre film. Ai blockbuster solo le briciole, un premio ad Avatar – La Via dell’Acqua (effetti speciali) uno a Top Gun: Maverick (sonoro)
Da segnalare, nel momento più esplicitamente politico degli Oscar 2023, la vittoria quale miglior documentario di Navalny, dedicato ad Alexei Navalny, l’attivista, politico e dissidente russo di origini ucraine attualmente in carcere per la sua opposizione a Vladimir Putin. Sul palco, insieme al regista Daniel Roher, ha preso la parola Yulia Navalnaya, moglie di Alexey Navalny, anche lei figura di primo piano dell’opposizione russa: “Mio marito è in prigione solo perché ha voluto difendere la democrazia – ha detto –, sogno il giorno in cui tu e il nostro paese sarete liberi”.