Oggi sappiamo che Electric Ladyland di Jimi Hendrix, terzo e ultimo album con la Experience, chiuse definitivamente un cerchio perfetto prima di perdere il suo principale compositore e la sua voce. Jimi Hendrix arrivò alla scrittura del disco con manie di perfezione: dopo aver sfornato due album cervellotici – Are You Experienced? (1967) e Axis: Bold As Love (1967) – decise di ergersi a monumento, quasi per buttare giù una montagna (cogliete la citazione) con canzoni più precise, un rock blues un po’ meno buttato lì e obiettivi più definiti.
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Questo progetto si tenne tra gli studi londinesi e newyorkesi, e Jimi Hendrix non era mai contento. Per dare un’anima e un corpo al disco, Hendrix chiamò a rapporto gli ingegneri del suono Eddie Kramer e Gary Kellgreen, e arrivò a sostare per ore intere su una stessa frase o uno stesso fraseggio. Per questo il produttore Chas Chandler, esasperato, si chiamò fuori lasciando a Jimi Hendrix l’intero progetto.
Il risultato fu nell’album uscito negli Usa il 16 ottobre 1968: 16 tracce come 16 universi tra cui, ricordiamo, vide la luce la sua bellissima versione di All Along The Watchtower di Bob Dylan. Electric Ladyland di Jimi Hendrix era anche il disco di Voodoo Chile, la jam session dei record con ben 15 minuti di durata, 1983… (A Merman I Should Turn To Be), la già citata cover di Dylan e, per chiudere in bellezza, di Voodoo Child (Slight Return).
Per rendere unico questo album, Jimi Hendrix si circondò di pezzi da 90 come Steve Winwood all’organo hammond e Jack Casady dei Jefferson Airplane al basso di Voodoo Child (Slight Return). Va detto che quella perfezione cui aspirava Jimi Hendrix fu raggiunta e superata: prima di lasciare questo mondo, il leggendario chitarrista decise di rendersi eterno con un doppio album tutto da riscoprire, nota dopo nota.