L’ultimo film prodotto dalla Disney, The Creator, ci scaraventa in piena guerra, quella dell’occidente contro l’intelligenza artificiale.
Nel film l’umanità teme che l’I.A. sappia far tutto meglio dell’uomo. Se quindi avvertiamo il tema come non più fantascientifico, ma di assoluta attualità, è perché lo è.
TRAMA
La Disney torna al cinema con un film per tutta la famiglia, ambientato in un futuro prossimo. Il protagonista, Joshua (John David Washington), fa il doppiogioco, è una spia. Incaricato di scoprire l’esatta posizione del capo de “l’alleanza ribelle” robotica, finisce per innamorarsi della figlia del suo nemico. I due decidono di sposarsi e di costruire insieme una famiglia, ma in un’operazione dei suoi amici Marines, qualcosa va storto, la copertura salta, la moglie lo lascia ed è data per morta.
Quindici anni prima un’esplosione nucleare ha colpito infatti Los Angeles, creando un nuovo Ground zero. L’America e l’occidente incolpano l’intelligenza artificiale, ingaggiando una battaglia senza esclusione di colpi per la sopravvivenza e il dominio della razza umana. Non tutti la pensano così. In oriente i governi danno invece asilo politico all’I.A., collaborando attivamente. Così è possibile donare le proprie sembianze umane ai robot, di contro questi prendono servizio attivo nelle pattuglie di polizia, negli uffici e così via. Insomma parità dei generi, ricerca e sperimentazione permanente.
Tutto sembra cambiare quando si scopre l’ubicazione dell’arma definitiva dell’I.A., Joshua verrà inviato in oriente per distruggerla e metter fine alla guerra, lui accetta solo nella speranza di mettersi sulle tracce della moglie. Quando si trova davanti all’arma definitiva, il dito sul grilletto trema, è Alphie (Madeleine Yuna Voyles), un’intelligenza artificiale con le sembianze di una bambina. Questo cambia tutto, comincia la ricerca della verità e del riscatto del proprio onore.
DOVE L’AVEVAMO GIA’ VISTO?
Sono centinaia ovviamente i lavori che hanno incentrato la trama su questo difficile eppur interessante rapporto uomo-intelligenza artificiale. Ne citiamo alcuni che aiutano a trovare una possibile chiave di visione del film targato Disney.
Siamo lontani dalla sensazione di finzione fantascientifica, ma non di distacco emotivo, con L’Uomo Bicentenario (1999), film di Columbus, tratto dal racconto di Asimov, con l’indimenticabile Robin Williams.
Il dilemma resta il medesimo: macchine sensibili oltre che senzienti ed esser umani, talvolta insensibili, che non accettano la situazione di fatto con facilità (in quel caso bisognerà aspettare addirittura un processo giudiziario per il riconoscimento di status umano).
Ugualmente distante l’avventura di A.I. – Intelligenza Artificiale, il lungometraggio del 2001 di Steven Spielberg, basato su un progetto di Stanley Kubrick. Anche in quel caso al centro del film c’era un robot con sembianze umane, un bambino, mentre in The Creator la coprotagonista è invece una bimba. Ma, genere a parte, l’evoluzione del personaggio è decisamente meno riuscita in The Creator rispetto al film di Spielberg. Entriamo poco in empatia con la bimba-robot che dal primo all’ultimo minuto in scena non ha esitazione alcuna e segue pedissequamente tutto ciò che le chiede il suo padrino, vero protagonista del film. La bimba è dotata di superpoteri capaci di cambiare ogni cosa, ma dall’accendere una televisione con il pensiero, al far esplodere un’intera nave spaziale, sembra tutto immediatamente alla portata delle sue abilità, facendo calare la tensione in sala e coinvolgendo poco lo spettatore.
Così da fulcro della storia la bimba diventa quasi un pretesto per mandar avanti la trama e finiamo per avere poco a cuore le sorti della piccola “simulant”, a differenza di Chappie, il poliziotto robot di Humandroid (2015) e ovviamente di Wall-e, film Pixar sempre proprietà Disney.
Certo The Creator punta forse poco alla storia e all’evoluzione dei personaggi, se non quella del protagonista che è l’unico a cambiare profondamente, anche se in maniera fin troppo prevedibile. La battaglia incalza, sono gli uomini contro i robot e il nostro protagonista comincia a giocare in un primo momento nella squadra made in U.S.A.
Qui potremmo allora pensare a Terminator Salvation (2009) quarto capitolo della saga, con Christian Bale che interpreta John Connor, combattente della resistenza. Solo che in The Creator, la resistenza sono i robot, sono loro i buoni, mentre gli uomini o meglio le forze militari dell’occidente, sono i cattivi, capaci di tutto pur di affermare il dominio della razza e nascondere sotto al tappeto le proprie responsabilità, complessi di inferiorità, nefandezze comprese.
PERCHE’ VEDERLO AL CINEMA
The Creator è un’esperienza visiva fatta di effetti speciali, una colonna sonora perfetta e una fotografia curata. E’ qui che fa centro davvero il film di Gareth Edwards. Il mondo che costruisce Edwards è un’esplosione di colori vivaci e talvolta tenui come sanno esserlo solo certi tramonti nel lontano oriente. Le immagini create con la CGI sono dotate di una poesia che non vediamo spesso nel cinema sci-fi. L’immagine splendida e di soli pochi secondi, di un androide a cavallo di una vecchia motocicletta tra le povere risaie, ci restituisce la bellezza di uno studio profondo sull’ambientazione e sul mondo di The Creator.
La colonna sonora vale da sola il prezzo del biglietto. Ascoltare i Radiohead, “Everything in its right place” in “dolby surround” al cinema non ha prezzo. La canzone si inserisce perfettamente nel mood del film e ci restituisce la giusta tensione che a volte manca nelle scene. Lo stesso vale per un’inaspettata “Child in time” dei Deep Purple che i protagonisti ascoltano in un vecchio e sgangherato van prima di partire a tutto gas e scappare dalla polizia.
Infine, trattandosi di un film targato Disney, val la pena sottolineare che l’autore affronta, seppur frettolosamente, il tema dell’eutanasia. Non è certo la prima volta che il cinema si interroga e interroga le coscienze degli spettatori sulla questione, ma forse una delle prime volte che un film per famiglie come è The Creator si sofferma sul tema, facendo inoltrare i protagonisti fino alle estreme conseguenze.
L’ultimo film di Gareth Edwards è sicuramente da vedere sul grande schermo, ma non ha l’originalità del suo primo lungometraggio “Monsters”(2010), non incolla lo spettatore allo schermo come Godzilla(2014) e soprattutto non ha la grazia e i personaggi indimenticabili di Rogue One(2016), il più riuscito spin-off mai prodotto della saga di Star Wars. Proprio da qui, il regista inglese, prende inevitabilmente e consapevolmente a piene mani, senza però mai risultare brutta copia di sé stesso. Il finale, evidente pluricitazione della saga, riesce ugualmente a strappare un sorriso agli spettatori che escono dalla sala.