The Ballad Of Darren dei Blur, poco rumore per tutto e con stile (recensione)

Swing, dissonanze, pop e tanto cantautorato maturo. Ecco The Ballad Of Darren, il nuovo e attesissimo album dei Blur

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Ph: Matija Puzar/Wikimedia


INTERAZIONI: 2

Eravamo orfani da otto anni, poi di colpo l’annuncio: un nuovo album. The Ballad Of Darren dei Blur ci insegna che abbiamo ancora bisogno dei grandi nomi degli anni ’90, fingendo una non-consapevolezza che quella decade sia ormai finita e sepolta. Eppure Damon Albarn e soci si reinventano e mettono sul piatto tutto ciò che è ancora stato, rispolverando un mood che riparte da The Universal e viene intinto in The Nearer the Fountain, More Pure the Stream Flows, l’ultimo e più recente capitolo solista del frontman.

Fermi, perché ogni volta che una band del passato sputa fuori un disco tutto nuovo in tutti i sensi, il pubblico si divide alla ricerca di riferimenti, simmetrie e parallelismi: godiamocelo, piuttosto. Questo è l’imperativo.

The Ballad Of Darren non ha nemmeno un fiato di Coffe & TV, Parklife o Boys & Girls, tanto meno di Song 2. Ecco, smettiamo di ripartire da Song 2 che è stato un caso. Importante, determinante, di rottura, ma un caso. Con quel brano Albarn e gli altri volevano sfottere un po’ il grunge che negli anni ’90 dominava la scena alternativa e muoveva più masse del pop punk; da una parte c’erano gli Oasis con un brit-pop da mattonato rosso e spavalderia, dall’altra c’erano i più riflessivi Blur che certamente non facevano a cazzotti con il mondo né si spacciavano per i “i nuovi [fai continuare il tasto centrale]”.

The Ballad Of Darren (Cd Deluxe)
  • Audio CD – Audiobook
  • 07/21/2023 (Publication Date) - PLG UK Frontline (Publisher)

Amico lettore, so che questa premessa ti annoia in questi tempi in cui chiedi a Google di riassumerti le cose con H2 strategici e parole chiave, ma ti assicuro che The Ballad Of Darren dei Blur merita un paio di mani messe avanti quasi in segno di resa. È un disco che fa cascare le gonadi a chi si aspetta Song 2 in tutte le salse, e ci dispiace per lui. A Damon non dispiace, sono affari vostri. Albarn e Coxon ci solleticano ancora, tuttavia, con soluzioni melodiche che si fanno sempre più evocative e trascendentali a partire da The Ballad, brano che apre il disco con una pugnalata vintage e cori audaci. Graham vuole ancora fare rumore e la band glielo concede. In modo centellinato, ma glielo concede.

È sufficiente per passare alla traccia più elettrica St. Charles Square, che ci riporta ai tempi in cui i Blur si chiudevano in un garage con il maltempo fuori e il sudore dentro. Le schitarrate sono zozze abbastanza per restituirci i ragazzi nella loro figaggine più amata, ma certamente arriva il meglio con Barbaric. È il Regno Unito più pop, da breakfast e hangover, dal quale atterriamo sul morbido con Russian Strings. Non perderemo tempo a insegnarvi come leggere un testo, basti sapere che ascoltare Russian Strings osservando il firmamento mentre si cerca il fresco dopo una giornata sotto la canicola di luglio potrebbe essere tanta roba.

The Everglades (For Leonard) è il Damon Albarn che si strugge e ci strugge, complici quegli archi e quella batteria appena soffocata tra i riverberi di una ballad che è un canto – anch’esso – notturno. Si arriva a The Narcissist, uno dei brani più apprezzati del nuovo album dei Blur. Radiofonica ma non troppo, pop ma nel senso più elegante del termine. Anche qui ritroviamo il Regno Unito, ma siamo a fine serata. Non più in hangover né di fronte a una colazione proteica.

Goodbye Albert vince per quel riff quasi dissonante, un sound à la Joy Division. Verso un finale glorioso, la triade Far Away Island, Avalon e The Heights chiude in bellezza. Questo è The Ballad Of Darren dei Blur, la risultante delle esperienze parallele dei singoli elementi, il mondo di Damon Albarn che non puzza di Gorillaz ma di vissuto e stoicità, la maturazione di un cantautore che non ha mai avuto l’aspirazione di essere un frontman.