Solo amici, Un ragazzo incontra una ragazza, Parole d’amore, Blue Moon: sono alcuni dei titoli che furono presi in considerazione durante la lavorazione di quello che alla fine si sarebbe chiamato Harry Ti Presento Sally (in originale When Harry Met Sally). Cui non è difficile riconoscere con uno sguardo retrospettivo, il film uscì nel 1989, il ruolo di insuperato prototipo della commedia romantica contemporanea.
Diretto da Rob Reiner e scritto da Nora Ephron – su di loro torniamo tra pochissimo –, Harry Ti Presento Sally segna un sottile cambio di prospettiva rispetto alla commedia americana classica. Se un tempo, sia nella versione screwball alla Howard Hawks che in quella della coppia Spencer Tracy-Katharine Hepburn, il genere indagava soprattutto la battaglia tra i sessi, qui, nel progressivo, anche se lento, riequilibrio tra ruoli maschile e femminile dei nuovi modelli sociali, il rapporto tra Harry e Sally indaga un’opzione inedita, quella appunto dell’amicizia, senza sottintesi erotici, tra uomo e donna.
Harry e Sally, interpretati con scelta indovinata da Billy Crystal e Meg Ryan – belli ma non irraggiungibili, con quell’aria da gente comune che consente allo spettatore di immedesimarsi nelle loro storie –, si conoscono alla fine dell’università per un lungo viaggio in auto da Chicago a New York. Lui, sebbene fidanzato, ci vorrebbe provare, però non succede nulla, per la correttezza di lei. Dieci anni dopo si rincontrano definitivamente, in carriera ma provati dalle rispettive, dolorose separazioni. A quel punto scatta l’empatia che ne cementa l’amicizia. Del tutto platonica. Fino a un certo punto, beninteso.
Il sapiente gioco di incastri, accelerazioni e rimandi di una storia d’amore che per accendersi impiega un tempo lunghissimo, è il frutto di una scrittura calibrata. Questo ci permette di tornare a Nora Ephron e Rob Reiner, facendosi aiutare da quella piccola miniera di informazioni che è l’introduzione che la stessa Ephron ha scritto per il volume che contiene la sceneggiatura di Harry Ti Presento Sally. Lei prima del film era già notissima, figlia d’arte di due scrittori, enfant prodige e firma tagliente per Esquire, Cosmopolitan, New York Magazine, pure ex moglie del giornalista del Watergate Carl Bernstein – la fine del loro matrimonio, nel 1980, sarebbe finita dentro la sua sceneggiatura di Heartburn – Affari di cuore (1986) –, e pure con all’attivo una nomination all’Oscar per lo script del dramma civile Silkwood (1983).
Rob Reiner, figlio della leggenda dello spettacolo americano Carl, era stato attore di successo negli anni Settanta nella serie tv Arcibaldo (due Emmy vinti), e negli Ottanta aveva cominciato a farsi notare con le sue prime frizzanti regie cinematografiche, in un percorso che di lì a poco, nel 1986, sarebbe stato coronato da quel piccolo capolavoro che è Stand By Me, agrodolce coming-of-age adolescenziale tratto da un racconto di Stephen King.
Prima ancora di quel film, nell’ottobre del 1984 Ephron e Reiner si incontrano a pranzo per parlare di lavoro. Dopo averci girato un po’ intorno, a Rob viene un’idea: un film sull’amicizia tra un uomo e una donna che, scrive Ephron, “decidono deliberatamente di non fare sesso perché il sesso rovina tutto; e che poi fanno sesso e rovinano tutto. E io subito: facciamolo”.
Il film si sarebbe potuto tranquillamente intitolare “Rob ti presento Nora”. Regista e sceneggiatrice sono chiaramente i modelli su cui sono esemplati i due protagonisti, cesellati in un lungo processo di lavorazione, che passerà attraverso non meno di sette riscritture del copione. “Avevo trovato un magnifico personaggio in Rob – scrive Ephron –, estremamente divertente ma anche estremamente depresso, e che oltretutto ama la sua depressione”.
Così nasce Harry, che vede sempre il rovescio della medaglia, con un atteggiamento in cui cinismo, malinconia e tetraggine diventano un tutt’uno. Per capire cosa si intende, basti pensare alla scena in cui Harry spiega a Sally che lui nemmeno all’inizio di una relazione accompagna la sua donna all’aeroporto, perché poi, dato che inevitabilmente le cose si complicano, non vuole che lei un giorno glielo rinfacci: “Come mai non mi porti più all’aeroporto?”.
Sally all’opposto è “allegra e gioiosa, e implacabilmente, inutilmente, irrealisticamente, stupidamente ottimista“, somigliante, parole sue, a Nora Ephron, dalla quale prende in prestito anche lo sfiancante modo di ordinare il cibo, con tutti quegli “a parte”, che tradiscono un enorme bisogno di controllo (e autocontrollo).
Harry Ti Presento Sally mostra uomini e donne che si confrontavano senza reticenze su amore e sesso. Non che fosse una novità assoluta, il cinema americano parlava di quelle cose da almeno vent’anni, dai tempi di Bob & Carol & Ted & Alice o Conoscenza carnale. Ma in Harry ti presento Sally viene almeno parzialmente abbattuta la barriera del maschilismo, visto il personaggio che, pur mostrando qualche arcaica resistenza nei confronti dell’amicizia tra uomini e donne, dimostra un’umiltà che lo spinge a esplorare in modo nuovo l’universo femminile. Così, si assiste, poco a poco, a un cambiamento di prospettiva. Sebbene la conclusione dia poi ragione a Harry, perché l’amore trionferà (mi dispiace, dopo 34 anni il crimine di spoiler cade in prescrizione).
Harry Ti Presento Sally, però, è soprattutto un film su quanto siano diversi uomini e donne. “Gli uomini sanno di non capire le donne e non gliene importa molto – continua Ephron – Vogliono le donne come amanti, mogli, madri, ma non sono realmente interessati a loro come amiche. […] Le donne, invece, sanno di non capire gli uomini, e questo le infastidisce […] pensano che se solo potessero capirli, potrebbero fare qualcosa. Le donne cercano sempre di fare qualcosa”.
Aggiornato al costume e agli stili di vita della sua epoca, Harry Ti Presento Sally racconta oltretutto un altro fenomeno che stava diventando dilagante: la vita dei single, soprattutto dei single di ritorno, con la loro “difficile, frustrante, terribile, divertente ricerca della felicità in una città americana in cui l’amore non corrisposto è il sentimento principale”. E, certamente, la città in cui è ambientata la vicenda è, insieme ai due protagonisti, l’altro segreto del film, che è una straordinaria, dolcissima sinfonia di New York, fotografata in un carezzevole autunno perenne, il luogo in cui qualunque essere umano vorrebbe vivere.
Con il senno di poi, visto dalla nostra prospettiva conficcata nel nuovo millennio, Harry ti presento Sally ha acquisito un ulteriore motivo di fascino, al tempo non prevedibile. Il film è giunto un attimo prima della rivoluzione digitale che ha riplasmato le nostre esistenze. Non c’è commedia oggi che non sia ritmata dalla seconda vita compulsiva che ognuno di noi conduce sugli smartphone, tra notifiche, chat, social network, whatsapp, dating app.
Una cosa che Nora Ephron era stata tra le prime a comprendere, in C’è post@ per te – il film che diresse nel 1998 con Tom Hanks e ancora la fidanzatina d’America Meg Ryan –, intuendo il potenziale drammaturgico offerto dai nuovi media. Perché basta un messaggio del proprio compagno/a letto, diciamo così, per sbaglio, per scatenare equivoci a non finire tra gelosie, ripicche, risentimenti che fanno filare il racconto come un treno. Un treno nel quale, però, proprio in virtù della girandola perenne di sollecitazioni tecnologiche, sembra non esserci mai veramente un momento da dedicare a sé stessi.
Harry e Sally invece, dispongono ancora completamente del proprio tempo. Possono spenderlo chiacchierando amabilmente al ristorante (dove, tra l’altro, mimare un orgasmo, nella scena più esilarante del film), comprando l’albero di Natale o andando in libreria. O ancora, più semplicemente, si concedono il lusso di perderlo, il tempo. E noi spettatori dell’era della frenesia tecnostimolata li guardiamo con curiosità e invidia, quasi fossero i protagonisti non di un film di finzione, ma di un documentario sui comportamenti sociali di specie estinte.