Ormai è raro che la tv generalista proponga in prima serata un classico hollywoodiano in bianco e nero. Per cui era troppo forte la tentazione, nel segnalare il film in tv di oggi, di parlare di Susanna (Bringing Up Baby, 1938) di Howard Hawks, trasmesso alle 21.10 da Rai Movie. Quando uscì fu un fiasco, il critico del New York Times lo liquidò definendolo “un prodotto bizzarro della sciocca scuola della farsa”. E quel fallimento costò persino ad Howard Hawks l’estromissione da un progetto cui teneva tantissimo, Gunga Din, che passò nelle mani di George Stevens.
Oggi invece Susanna è ritenuto, giustamente, il vertice insuperato e il modello di riferimento della screwball comedy, la commedia “svitata” con protagonisti dai caratteri bizzarri infilati dentro situazioni decisamente sopra le righe. E nulla è più sopra le righe della storia del serioso paleontologo David Huxley (Cary Grant) – la prima volta in cui lo vediamo è nella posa inappuntabile del pensatore di Rodin – il quale, nel giorno più importante della sua vita – che coincide sia con il suo matrimonio che con il ritrovamento della clavicola intercostale che gli consentirà, dopo quattro anni di lavoro, di ultimare la ricostruzione dello scheletro di un brontosauro – incappa in una donna, Susan (Katharine Hepburn) che manderà in un battibaleno a gambe all’aria tutti i suoi progetti e migliori proponimenti.
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A partire da una partita di golf in cui Susan s’impossessa della pallina di David, il povero paleontologo è risucchiato in una (dis)avventura senza fine, alla mercé della donna. La quale lo scarrozzerà sul predellino di un’automobile – anche quella di David, ma lei non lo sa –, gli strapperà il frac durante una serata importante, lo trascinerà a lanciare sassi di notte contro la finestra di un avvocato. E soprattutto, lo costringerà a occuparsi del baby del titolo, che non è un vezzeggiativo affettuoso della protagonista, ma il nome che Susan ha dato a un esemplare di leopardo (!) che il fratello amante della caccia grossa le ha recapitato dall’Africa. Un cucciolone affettuosissimo e per nulla feroce, che però va ammansito, nei momenti in cui la fame fa riemergere la sua ferinità, con la sua canzone preferita, I can’t give you anything but love, Baby.
Sarà una farsa Susanna, come sosteneva il critico del New York Times, però irresistibile. Hawks parte da un racconto di Hagar Wilde, che lo sceneggiò insieme al più esperto Dudley Nichols, usuale collaboratore di John Ford, precisando qui lo stile tipico della sua commedia (aveva già firmato lo stupendo Ventesimo Secolo nel 1934). Due i fattori determinanti: da un lato il fuoco artificiale di dialoghi velocissimi (velocità che diventerà supersonica ne La Signora Del Venerdì del 1940), che regalano naturalezza alle situazioni: dall’altro una recitazione senza moine e buffonerie, che secondo lui, e aveva ragione, rovinavano l’effetto comico (“I problemi più grandi si hanno con le persone che cercano di essere divertenti. Quando smettono, lo diventano immediatamente”, diceva il regista).
Infatti lungo tutto il film Cary Grant non ride mai, come fosse un personaggio di Keaton, autore-attore cui talvolta sono state accostate le commedie hawksiane (anche se il paleontologo, su indicazione del regista, è modellato sui personaggi di Harold Lloyd). E come potrebbe, anche volendo, ridere il malcapitato David: a un certo punto, Susan gli ha rubato i vestiti, è costretto ad andare in giro in vestaglia da donna, prorompendo, al culmine dell’esaperazione, in una frase rimasta proverbiale nella storia del cinema: “Tutto a un tratto sono diventato gay!”, unica volta negli anni del Codice Hays in cui si sente pronunciare quella parola (espunta nel doppiaggio italiano). In un’altra sequenza fondamentale, notturna – anche qui, l’originalità di una commedia hollywoodiana che si svolge in buona parte al buio –, David e Susan inseguono in un bosco il cane di lei – non c’è solo il leopardo – che ha trafugato il prezioso osso seppellendolo chissà dove.
Susanna è una commedia divertentissima dal ritmo indiavolato. Ed è anche un’opera dalle infinite letture. Nel confronto con gli animali e nell’immersione nel bosco il malinconico David – che sta per sposarsi con una donna castratrice che non vuole saperne di sesso e considera il loro “figlio” lo scheletro del brontosauro – ritrova una dimensione panica e la sua identità di maschio desiderante. Anche se poi, come è tipico nelle commedie di Hawks, per riuscire a conseguire un equilibrio in cui trovino uno spazio coerente le sue pulsioni, deve imparare a conoscere il suo lato femminile – il travestimento in négligé, in una trasformazione che avrà nuovamente luogo, in forma ancor più estremizzata, nel successivo capolavoro Ero Uno Sposo Di Guerra.
Dato che si parla di pulsioni, poi, Susanna è caratterizzato da continue allusioni e doppi sensi. Non dimentichiamo che tutto ruota intorno a un osso perduto e ritrovato. E il termine inglese, bone, ha tutta un’altra serie di significati volgari che hanno a che vedere con la copulazione e l’erezione. A un certo punto Susan, nel presentare David alla zia, per non svelarne l’identità lo chiama persino signor Bone: più chiaro di così.
In generale poi la commedia è per Howard Hawks il terreno su cui diviene manifesta la battaglia dei sessi: nella quale, ruotando tutto intorno al desiderio, è la donna la figura che mena le danze, travolgendo il malcapitato di turno (e nessuno è capace di sottoporsi a questo supplizio meglio dell’impagabile comedian Cary Grant). La commedia è lo spazio in cui Hawks tematizza la relazione tra i sessi, mostrando cosa ne era, negli anni Trenta della società americana, di un maschio sempre più sussidiario della femmina, facendo affiorare la vena di misoginia (“i film misogini di Hawks sono le commedie”, ha scritto Goffredo Fofi) di un uomo attratto e insieme terrorizzato dalla donna.
Non ci si faccia però trarre in inganno: Susanna, descrivendo una protagonista che strapazza David e però gli ronza continuamente intorno, racconta anche le incertezze del desiderio femminile. Susan sin dalla prima inquadratura è mostrata in abiti di un bianco candido accecante, segno forse della sua illibatezza e quindi delle sue ben nascoste angosce (la verginità è il tema centrale di un’altra commedia capolavoro di poco successiva, Scandalo A Filadelfia, 1940, di George Cukor, ancora con Grant e Hepburn più James Stewart). Come rileva con grande finezza la critica Molly Haskell: “Tutta la presunta clowneria è una sorta di meccanismo di difesa, di riparo da una segreta vulnerabilità. Susan, così decisa e fiduciosa in sé, è socialmente e sessualmente insicura”.
Susanna alla fine, come sottolineato da un altro raffinato esegeta del film, il filosofo Stanley Cavell, autore di un libro sulla commedia americana intitolato Alla Ricerca Della Felicità, è esattamente questo: la storia, in una chiave ridanciana capace di mescolare leggerezza e profondità, della ricerca del bene più grande e precario, la felicità. Precaria come quell’enorme scheletro di brontosauro finalmente concluso con l’innesto dell’ultima clavicola intercostale (la costola di Adamo, l’allusione è scontata), il quale sempre sul punto di franare. Come la felicità perennemente inseguita, talvolta afferrata, mai posseduta una volta per tutte.